ISOLA DI ORTIGIA

Via Vittorio Veneto

Chiesa di San Filippo Neri
Denominazione e luogo: la chiesa di San Filippo Neri si affaccia sulla Via Vittorio Veneto sull’Isola di Ortigia, Siracusa.
Architetto: il progetto è d’incerta attribuzione tra Giovanni Vermexio e Rosario Gagliardi.
Epoca: 1740-1769
Corrente artistica di riferimento: è una chiesa d’architettura barocca, dalla caratteristica facciata convessa, esempio unico in Siracusa.
Descrizione della pianta
E’ a pianta ottagonale con angoli smussati che crea una forma ellittica, l’abside e l’atrio sono simmetricamente opposti, frontalmente nei minori lati dell’ellisse sono presenti due absidi semicircolari. La copertura è realizzata con volta a padiglione. La pianta ottagonale è certamente del ‘700 ed è attribuita all’architetto Gagliardi, che ne modificò in parte l’aspetto esterno e maggiormente l’interno, con totale modifica dell’impianto planimetrico.
Descrizione dell’esterno
La facciata della chiesa è suddivisa in tre fasce verticali da paraste con capitelli corinzi e divisa in due ordini orizzontali da un cornicione aggettante dall’andamento movimentato.
Il primo ordine è caratterizzato da tre ingressi di diversa ampiezza: il portale maggiore centrale ha gli stipiti affiancati da mensole con figure mostruose mentre mordono le teste delle sirene. Dentro il portale c’è un festone tenuto al centro dalla bocca di un mascherone. A sinistra accanto al mascherone è scolpita una lucertola, simbolo o firma del Vermexio. Il portale maggiore ha un timpano ad arco ribassato, mentre i due minori hanno un timpano triangolare.
Nel secondo ordine di aprono, in corrispondenza delle porte sottostanti, tre grandi finestre con timpano ricurvo, poste sopra una trabeazione vigorosa.
Descrizione dell’interno
L’ambiente unico della navata è diviso in due ordini da un cornicione in corrispondenza dei pilastri. La copertura del vano centrale è in gesso, nel tamburo della volta si aprono finestre che hanno cornici in pietra scura. Gli stipiti delle porte sono decorate con un ramoscello d’ulivo e uno di palma incrociati. L’originalissimo pavimento è formato da lastroni calcarei bianchi e neri (arenaria bianca e pietra asfaltica nera di Ragusa), che raffigurano un intarsio simile a una stella a otto punte e motivi floreali.
Tramite tre gradini sormontati da una balaustra in marmo policromo si accede all’abside, caratterizzata da un arco di trionfo sormontato al centro da uno scudo sostenuto da due putti. Al centro dell’abside è posto l’altare maggiore. Il coro e l’abside sono delimitati da una volta a botte lunetta e da un catino semisferico.
Decorazioni pittoriche e scultoree
Le pareti interne sono ornate da stucchi e sono presenti diversi dipinti.

Inserimento urbanistico e territoriale
Affacciata alla Via Vittorio Veneto, in passato la maggiore arteria di Ortigia, da cui entravano in città processioni e fastosi cortei.
Adiacente alla chiesa vi è l’Oratorio di San Filippo Neri, oggi Liceo Tommaso Gargallo, in cui spiccano il chiostro e lo scalone in marmo. Si trova a fianco l’antico palazzo Interlandi, sede dell’Istituto delle suore Orsoline.
Notizie storiche
Nel 1740 il vescovo Monsignor Testa di Siracusa fece costruire la chiesa su un luogo dove si trovava quella più antica di Sant’Andrea. Fu ultimata nel 1769 e consacrata nel 1770. La fondazione della chiesa e dell’oratorio San Filippo Neri si deve a Margherita De Grandi, che, sollecitata dal nipote sacerdote Francesco De Grandi, donò i suoi averi per la realizzazione.
La costruzione precedente risaliva all’epoca trecentesca, venne poi trasformata in parte durante i secoli XV e XVI a causa di un terremoto, per poi subire un ulteriore rinnovamento a partire dal 1762.

PALAZZO VITALE

Architetto: Andrea Vermexio.
Denominazione: Palazzo Vitale
Luogo: è posto in Via Vittorio Veneto nel quartiere della Mastrarua, sull’Isola Di Ortigia a Siracusa.
Epoca: risale a fine ‘500, inzio anni ‘600, viene portato a termine dopo il terremoto del 1693.
Corrente artistica di riferimento: Barocco.
Descrizione della pianta
Pianta longitudinale, oggi divisa in appartamenti privati.
Descrizione dell’esterno
La facciata del palazzo è disposta in due ordini orizzontali. La parte inferiore del palazzo presenta uno splendido portale centrale arcuato in blocchi di pietra, accanto al quale vi sono due portoncini arcuati semplici. Gli ordini superiori possiedono sei balconcini ad apertura rettangolare con travone liscio sorretti da eleganti mensoloni con decorazioni barocche e mascherone fitoforme al centro.
Descrizione dell’interno
L’interno del palazzo, tuttora in restauro, dovrebbe ospitare degli appartamenti privati o strutture ricettive.
Inserimento urbanistico e territoriale
Il palazzo è inserito nella Via Vittorio Veneto.
Notizie storiche
E’ stato creato per volere della nobile famiglia messinese Vitale nei primi anni del ‘600, ma portato a termine solo dopo il terremoto del 1693, che fermò i lavori per qualche tempo.
Restauri
Oggi l’interno del palazzo è in restauro.

PALAZZO RUSSO

 

Architetto: anonimo.
Denominazione: Palazzo Russo
Luogo: il palazzo è ubicato in Via Vittorio Veneto, sull’Isola Di Ortigia a Siracusa.
Epoca: risale all’epoca settecentesca.
Corrente artistica di riferimento: Barocco.
Descrizione della pianta
Pianta longitudinale, oggi divisa in appartamenti privati.
Descrizione dell’esterno
La facciata, divisa in due ordini orizzontali, presenta un elegante portale arcuato a pilastri a bugnato liscio, sopra il quale è posto un balcone sorretto da mensoloni barocchi, racchiuso da una particolare inferriata bombata in ferro battuto, la cui apertura rettangolare è sormontata da un travone. Accanto al portale vi sono tre aperture arcuate, di cui in quelle di destra è posta una serie di eleganti rosette scolpite in basso rilievo.
Nella parte superiore della facciata vi sono una finestrella semplice di forma rettangolare sormontata da un travone e un balcone a doppia apertura simile a quello sopra il portale. Ai lati due nicchie con statuette.
A completare la facciata ci sono tre finestre a lucernario.
Descrizione dell’interno
All’interno del palazzo ci sono locali adibiti ad uso abitativo con interni d’epoca.
Inserimento urbanistico e territoriale
Il palazzo è inserito nella Via Vittorio Veneto.
Notizie storiche e restauri
E’ stato edificato nel ‘700 per volere della famiglia Russo. Il prospetto è stato più volte manomesso in seguito ad interventi grossolani di restauro effettuati nei primi anni del ‘900, ma conserva ancora pregevoli decorazioni tardobarocche.

DUOMO

 

Architetto: Andrea Palma.
Denominazione: Cattedrale del Duomo voluta dal vescovo Zosimo.
Luogo: collocata nella piazza del Duomo di Siracusa sull’Isola di Ortigia.
Epoca: 1728-1753.
Corrente artistica di riferimento: risale alla corrente artistica del Barocco.
Descrizione della pianta
Una gradinata precede l’entrata. La pianta è longitudinale, divisa in tre navate da due file di colonne, lungo le navate laterali si aprono delle cappelline. Il portico preesistente posteriore venne utilizzato come nartece, mentre all’estremità di ciascuna navata vennero create tre absidi semicircolari.

Descrizione dell’esterno
L’entrata ha un effetto scenografico notevole con le statue sei Santi Pietro e Paolo di Ignazio Marabitti poste ai lati della gradinata.
La facciata si articola in due ordini sovrapposti segnati in orizzontale dalla linea dell’architrave e dal frontone realizzati con andamento spezzato. E’ anche divisa in tre ordini verticali da enormi colonne con capitello corinzio. L’ordine inferiore presenta un portale centrale a tutto sesto sorretto da due colonne, al quale si accostano due colonne binate ai lati che proseguono fino al secondo livello. Questi due ordini di colonne con capitelli corinzi movimentano la superficie liscia retrostante, creando un gioco chiaroscurale di notevole effetto.
Oltre al portale maggiore sono presenti due portali minori con timpani triangolari. Sopra le due porte si apre una finestra centinata.
Nel secondo ordine vi è una nicchia con timpano “centinato” incluso in due colonne, chiuso tra colonne binate e timpano spezzato.
Il campanile costruito contemporaneamente alla facciata presenta due grandi arcate senza ornamenti.
Descrizione dell’interno e delle sue decorazioni
Nel vestibolo vi sono due nicchie, una a sinistra con la statua dì S.Vincenzo Ferreri e l’altra a destra con quella di S. Ludovico Bertrando. L’interno è costituito da tre navate; quella centrale termina nel presbiterio distinto in coro e tribuna. Nella parete in fondo all’abside vi è un quadro ad olio della Natività di Maria. L’altare è costituito da un grosso blocco monolitico, che era parte della trabeazione dell’antico tempio.
Sopra il coro due grandi tele rappresentanti S. Pietro che affida a S. Marziano il compito di cristianizzare la città di Siracusa.
Il soffitto ligneo a trabeazione scoperta è decorato con rosoni dorati e stemmi delle più nobili famiglie siracusane di quel tempo. La volta è decorata con bellissimi affreschi del celebre messinese Agostino Scilla. Nei cinque vani della volta sono rappresentati avvenimenti biblici.
Nella navata destra si può ammirare il Battistero, che contiene un vaso greco di marmo posato su sette leoni di bronzo, adattato a fonte battesimale.
La Cappella del Sacramento è a pianta poligonale e venne progettata da Giovanni Vermexio, qui si trovano un ciborio di Luigi Vanvitelli e gli affreschi di Agostino Scilla.
La cappella di Santa Lucia conserva la statua della santa. Il pavimento di marmo fu eseguito per disposizione del vescovo Requisens, che volle essere sepolto nella cappella, come attesta il sarcofago marmoreo attaccato al muro fra le due arcate e la lapide sul pavimento. Posata sul pavimento nella parte destra della cappella vi è una grossa bomba, che cadde nella stanza del generale Orsini nel 1735 e rimase inesplosa per un miracolo della Santa.
Nella cappella del Crocifisso si trovava un dipinto di Zosimo attribuito ad Antonello da Messina, ora conservato nel Tesoro del Duomo insieme ad altri dipinti. Da quest’ultima cappella si accede alla nuova sagrestia e alla Sala del Tesoro del Duomo, che comprendono dipinti, oreficerie e tessuti preziosi. La chiesa contiene la cassa ed il simulacro argenteo di Santa Lucia oltre alla statua della Madonna della Neve del Gagini.
La decorazione scultorea si compone dell’aquila reale con l’arme dei Borbone di Sicilia con cartiglio, elementi fitomorfi, puttini e statue in pietra calcarea opere di Ignazio Marabitti. Esse rappresentano: in alto a destra Santa Lucia, vergine e martire siracusana; al centro in una nicchia la Madonna alla quale è dedicata la cattedrale; in altro a sinistra San Marciano, protovescovo di Siracusa. Ai lati della scala, San Paolo e San Pietro, che sottolineano la vocazione apostolica della città.
Inserimento urbanistico e territoriale
E’ posta nella piazza del Duomo e, scegliendo come punto di osservazione l’area tra il palazzo del Senato e il Palazzo Beneventano del Bosco, si ammira la facciata del Duomo nella sua pienezza volumetrica, che si estende in profondità grazie alla sua caratterizzazione barocca.
Eventuali adiacenze
Alla sua destra si erge il Palazzo del Senato, oggi Municipio o meglio conosciuto come Palazzo Vermexio.
Notizie storiche
Il Duomo sorge dove esisteva il tempio di Atena sorto nel 480 a.C. Si tratta di un edificio di grande interesse architettonico per il fatto che nella costruzione della Cattedrale vennero inglobate le strutture e le colonne del tempio greco.
Fu il vescovo Zosimo a volere questa cattedrale. Successivamente vennero chiuse le colonne del perimetro, ancora ben visibili, e si tagliarono otto archi nei muri maggiori della cella, ottenendo così una chiesa a tre navate con coronamento absidale.
Dopo l’età araba, in periodo normanno si provvide all’elevazione dei muri della navata centrale, all’apertura di finestre nelle pareti bizantine e all’abbellimento con mosaici della cattedrale e del coro.
Fu iniziata nel 1728 ed il primo ordine fu compiuto nel 1731. Dopo una sosta di venti anni il proseguimento dei lavori si ebbe nel 1751 ed il prospetto fu completato nel 1753.
Nel corso del tempo ha subito ulteriori trasformazioni, tra cui quelle dovute a Andrea Palma, che ricostruì la facciata dopo il terremoto del 1693 in stile barocco e quelle dovute agli Spagnoli, che realizzarono il soffitto e il pavimento.
La costruzione attuale è quindi il risultato di svariati interventi che si sono succeduti nel tempo.

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GIBELLINA VECCHIA

Architetto
Alberto Burri
Alberto Burri nacque a Città di Castello nel 1915 ed iniziò la sua carriera di pittore nei primi anni ’40 in un carcere texano, dove l’avevano imprigionato gli americani durante la 2^ guerra mondiale.
Torna in Italia nel 1946, e l’anno successivo tiene la sua prima mostra personale a Roma; nel 1949 utilizza per a prima volta i sacchi per una sua opera e realizza un sacco stampato che chiama SZ1.
All’inzio degli anni ’50 espone per la prima volta alla Biennale di Venezia, presentando l’opera il Grande Sacco, tuttavia diventerà un artista di visibilità internazionale dopo le mostre di Chicago e New York del 1953
Nel 1954 realizza piccole combustioni su carta e continua a utilizzare il fuoco anche negli anni successivi. Nel 1955 espone all’Oakland Art Museum e alla Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma.
Nel 1973 inizia il ciclo dei Cretti e in questa fase si colloca “Il Grande Cretto” realizzato nella città terremotata di Gibellina.
Dopo l’opera di Gibellina crea un cretto di imponenti dimensioni, il ‘Grande Cretto Nero’ esposto nel giardino delle sculture dell’Università di Los Angeles.
Nel 1984, per inaugurare l’attività dell’ Accademia delle Belle Arti di Brera nel settore del contemporaneo, viene ospitata una mostra di Burri.
Le opere del Maestro sono esposte principalmente in due musei a Città di Castello.
Burri muore a Nizza nel 1995, un mese prima del suo ottantesimo compleanno.

Denominazione – Luogo – Descrizione
“Il Grande Cretto”
Il centro storico di Gibellina fu distrutto dal sisma che colpì la Valle del Belice il 15 gennaio 1968, un terremoto che distrusse 6 paesi e provocò più di 1 000 vittime e quasi 100 000 senza tetto. La città venne ricostruita a 20 km dal precedente sito, nel comune di Salemi, il vecchio centro che venne abbandonato è oggi noto come Gibellina Vecchia; proprio su questo territorio sorge “Il Grande Cretto”, opera di Alberto Burri.

Durante la ricostruzione della cittadina l’ex sindaco Ludovico Corrao volle chiamare a Gibellina diversi artisti di fama mondiale per inserire opere contemporanee nella città nuova, tra questi era stato chiamato ad operare anche Burri che tuttavia si rifiutò di realizzare un’ installazione da inserire nella città nuova e chiese di visitare Gibellina Vecchia, ancora ridotta ad un cumulo di macerie.
Burri rimase molto colpito da ciò che vide e si fermò per vari giorni sulle rovine a pensare; mise tutta la sua genialità artistica nella progettazione di un’ opera che attuasse il desiderio -espresso dal sindaco- di conservazione della memoria del luogo.

Il progetto fu avviato nel 1948 e venne terminato in 5 anni, nel 1989.

Burri decise di conservare -letteralmente- la città; con l’aiuto dell’esercito vennero raccolte e compattare le macerie che furono legate insieme grazie a delle reti metalliche. I 12 ettari di rovine vennero ricoperte con un’enorme colata di cemento bianco e vennero creati 122 blocchi alti circa 1,50 m distanziati l’uno dall’altro da fenditure larghe 2 o 3 metri. Il tracciato dei blocchi e delle fenditure ricalca in buona parte l’impianto urbanistico, con gli isolati e le strade percorribili prima del terremoto; la superficie del cretto prevista nel progetto era di dimensioni superiori rispetto a quella realizzata ad oggi, tuttavia resta un’opera colossale che misura attualmente 315 m per 280 m.
Nel 2011 erano stati organizzati degli incontri per la sollecitazione dei lavori di completamento dell’opera, a novembre 2013 è stato deciso -in via definitiva- il restauro e completamento del Cretto, ma la data dell’intervento non è ancora nota.

Quest’ opera è un gigantesco monumento alla distruzione, con la quale Burri riesce a ‘congelare’ l’evento nella memoria storica di questo paese; dall’alto il terreno pare solcato da profonde fratture nel cemento a ricordare gli effetti disastrosi del sisma. L’impatto visivo dall’esterno e dall’interno del Cretto è molto diverso, dall’esterno è un gigantesco monumento di arte ambientale, leggibile anche a chilometri di distanza, mentre dall’interno l’opera è uno spazio percorribile, quasi un labirinto, nel quale ognuno può vivere un’ esperienza soggettiva di riflessione e smarrimento.

Corrente artistica di riferimento
Land Art
“Il Grande Cretto” è l’opera di Land Art più grande in Italia ed è una delle più importanti ed estese al mondo.
La Land Art nasce nel 1967 – 68 negli Stati Uniti d’America e con questo termine si descrivono gli interventi di carattere artistico effettuati dall’autore direttamente sulla natura (si prediligono grandi spazi isolati o piccole installazione nei boschi).
Questo nuovo tipo di arte si sviluppò per contrastare le correnti della pop-art e della minimal-art, gli artisti volevano opporsi all’urbanizzazione sempre più incalzante richiamando temi ecologici e ambientali; con l’abbandono degli attrezzi tradizionali, i Land-Artists, cercavano una complicità con il luogo dove avrebbero operato in contatto diretto con la natura. I progetti realizzati sono prevalentemente scultorei e si tratta di interventi su grande scala, i materiali utilizzati sono spesso quelli che l’ambiente stesso offre o comunque non vanno a creare un disaccordo visivo con il luogo scelto.

Dal 2008 questo capolavoro di Alberto Burri è sottoposto alla tutela dei beni culturali e del paesaggio.

Eventi
• Ogni anno in questa località si tengono le Orestiadi, una serie di manifestazioni teatrali rese molto suggestive dalla location.

•Vi si svolgono svariate competizioni di orienteering (corsa di orientamento) anche a livello internazionale.

• Nel 2011 al BIT (fiera del turismo) a Milano è stato registrato l’interessamento di un’agenzia di Wedding Planner per la location molto suggestiva.

• Durante la settimana della cultura, nel 2011, venne organizzato un “Viaggio della Memoria” nei luoghi più significativi del sisma.

• Il Cretto di Burri venne candidato per il Premio del Paesaggio del Consiglio dell’Unione Europea, concorso indetto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC). L’opera si classificò al 3° posto per il buon esempio nella salvaguardia, gestione e pianificazione dei paesaggi.

• Sono in corso progetti per la valorizzazione della città per l’EXPO 2015.

*Cretto: crepa, fenditura, spaccatura

GIBELLINA NUOVA – Il Grande Cretto

Alberto Burri

Alberto Burri nacque a Città di Castello nel 1915 ed iniziò la sua carriera di pittore nei primi anni ’40 in un carcere texano, dove l’avevano imprigionato gli americani durante la 2^ guerra mondiale.

Torna in Italia nel 1946, e l’anno successivo tiene la sua prima mostra personale a Roma; nel 1949 utilizza per a prima volta i sacchi per una sua opera e realizza un sacco stampato che chiama SZ1.

All’inzio degli anni ’50 espone per la prima volta alla Biennale di Venezia, presentando l’opera il Grande Sacco, tuttavia diventerà un artista di visibilità internazionale dopo le mostre di Chicago e New York del 1953

Nel 1954 realizza piccole combustioni su carta e continua a utilizzare il fuoco anche negli anni successivi. Nel 1955 espone all’Oakland Art Museum e alla Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma.

Nel 1973 inizia il ciclo dei Cretti e in questa fase si colloca “Il Grande Cretto” realizzato nella città terremotata di Gibellina.

Dopo l’opera di Gibellina crea un cretto di imponenti dimensioni, il ‘Grande Cretto Nero’ esposto nel giardino delle sculture dell’Università di Los Angeles.

Nel 1984, per inaugurare l’attività dell’ Accademia delle Belle Arti di Brera nel settore del contemporaneo, viene ospitata una mostra di Burri.

Le opere del Maestro sono esposte principalmente in due musei a Città di Castello.

Burri muore a Nizza nel 1995, un mese prima del suo ottantesimo compleanno.

 

Il Grande Cretto”

Il centro storico di Gibellina fu distrutto dal sisma che colpì la Valle del Belice il 15 gennaio 1968, un terremoto che distrusse 6 paesi e provocò più di 1000 vittime e quasi 100000 senza tetto. La città venne ricostruita a 20 km dal precedente sito, nel comune di Salemi, il vecchio centro che venne abbandonato è oggi noto come Gibellina Vecchia; proprio su questo territorio sorge “Il Grande Cretto”, opera di Alberto Burri.

Durante la ricostruzione della cittadina l’ex sindaco Ludovico Corrao volle chiamare a Gibellina diversi artisti di fama mondiale per inserire opere contemporanee nella città nuova, tra questi era stato chiamato ad operare anche Burri che tuttavia si rifiutò di realizzare un’ installazione da inserire nella città nuova e chiese di visitare Gibellina Vecchia, ancora ridotta ad un cumulo di macerie.

Burri rimase molto colpito da ciò che vide e si fermò per vari giorni sulle rovine a pensare; mise tutta la sua genialità artistica nella progettazione di un’ opera che attuasse il desiderio -espresso dal sindaco- di conservazione della memoria del luogo.

Il progetto fu avviato nel 1948 e venne terminato in 5 anni, nel 1989.

Burri decise di conservare -letteralmente- la città; con l’aiuto dell’esercito vennero raccolte e compattare le macerie che furono legate insieme grazie a delle reti metalliche. I 12 ettari di rovine vennero ricoperte con un’enorme colata di cemento bianco e vennero creati 122 blocchi alti circa 1,50 m distanziati l’uno dall’altro da fenditure larghe 2 o 3 metri. Il tracciato dei blocchi e delle fenditure ricalca in buona parte l’impianto urbanistico, con gli isolati e le strade percorribili prima del terremoto; la superficie del cretto prevista nel progetto era di dimensioni superiori rispetto a quella realizzata ad oggi, tuttavia resta un’opera colossale che misura attualmente 315 m per 280 m.

Nel 2011 erano stati organizzati degli incontri per la sollecitazione dei lavori di completamento dell’opera, a novembre 2013 è stato deciso -in via definitiva- il restauro e completamento del Cretto, ma la data dell’intervento non è ancora nota.

Quest’ opera è un gigantesco monumento alla distruzione, con la quale Burri riesce a ‘congelare’ l’evento nella memoria storica di questo paese; dall’alto il terreno pare solcato da profonde fratture nel cemento a ricordare gli effetti disastrosi del sisma. L’impatto visivo dall’esterno e dall’interno del Cretto è molto diverso, dall’esterno è un gigantesco monumento di arte ambientale, leggibile anche a chilometri di distanza, mentre dall’interno l’opera è uno spazio percorribile, quasi un labirinto, nel quale ognuno può vivere un’ esperienza soggettiva di riflessione e smarrimento.

Land Art

Il Grande Cretto” è l’opera di Land Art più grande in Italia ed è una delle più importanti ed estese al mondo.

La Land Art nasce nel 1967 – 68 negli Stati Uniti d’America e con questo termine si descrivono gli interventi di carattere artistico effettuati dall’autore direttamente sulla natura (si prediligono grandi spazi isolati o piccole installazione nei boschi).

Questo nuovo tipo di arte si sviluppò per contrastare le correnti della pop-art e della minimal-art, gli artisti volevano opporsi all’urbanizzazione sempre più incalzante richiamando temi ecologici e ambientali; con l’abbandono degli attrezzi tradizionali, i Land-Artists, cercavano una complicità con il luogo dove avrebbero operato in contatto diretto con la natura. I progetti realizzati sono prevalentemente scultorei e si tratta di interventi su grande scala, i materiali utilizzati sono spesso quelli che l’ambiente stesso offre o comunque non vanno a creare un disaccordo visivo con il luogo scelto.

 Dal 2008 questo capolavoro di Alberto Burri è sottoposto alla tutela dei beni culturali e del paesaggio.

 Eventi

Ogni anno in questa località si tengono le Orestiadi, una serie di manifestazioni teatrali rese molto suggestive dalla location.

 •Vi si svolgono svariate competizioni di orienteering (corsa di orientamento) anche a livello internazionale.

 • Nel 2011 al BIT (fiera del turismo) a Milano è stato registrato l’interessamento di un’agenzia di Wedding Planner per la location molto suggestiva.

 • Durante la settimana della cultura, nel 2011, venne organizzato un “Viaggio della Memoria” nei luoghi più significativi del sisma.

 • Il Cretto di Burri venne candidato per il Premio del Paesaggio del Consiglio dell’Unione Europea, concorso indetto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC). L’opera si classificò al 3° posto per il buon esempio nella salvaguardia, gestione e pianificazione dei paesaggi.

 • Sono in corso progetti per la valorizzazione della città per l’EXPO 2015.

NOTO

CATTEDRALE DI NOTO

ImageDenominazione: Cattedrale di Noto o di San Nicolò

Luogo: Noto

Epoca: 1694-1703

Corrente artistica di riferimento: Barocco siciliano, Neoclassicismo.

Pianta: pianta a croce latina con tre navate, delle quali quella centrale è più grande delle due laterali.

Esterno: la facciata risponde alla tipologia con le due torri laterali e presenta evidenti analogie con Versailles e con altre composizioni francesi del 700. Essa è frutto di un corposo rimaneggiamento attuato da Vincenzo Sinatra nella seconda metà del ‘700 nella preesistente facciata incompiuta di Rosario Gagliardi. La facciata in pietra calcarea tenera ha una forte ispirazione neoclassica. Nella sopraelevazione delle due torri campanarie le paraste non sono ripetute come alla base e i timpani sono arricciati. Le porte principali sono d’ispirazione cinquecentesca, quella centrale è in bronzo e rappresenta episodi della vita di san Corrado Confalonieri da Piacenza, opera dello scultore siciliano Giuseppe Pirrone (1982).

Il finestrone centrale con timpano curvilineo è ripreso invece dal repertorio di Andrea Pozzo.

È coronata da quattro statue tardo settecentesche, eseguite nel 1796 dallo scultore Giuseppe Orlando, che raffigurano gli evangelisti.

Interno e decorazioni: l’interno, a tre navate, custodisce numerose opere d’arte, alcune delle quali provenienti dalla Noto antica, fra le quali l’urna argentea contenente le spoglie mortali di San Corrado Confalonieri. Il disastroso crollo del 1996, tuttavia, ha causato la perdita dell’intero apparato iconografico, il cui rifacimento è tuttora in corso.

Nella volta della navata centrale, dove prima del crollo campeggiava la tempera raffigurante la “Gloria di San Corrado” dell’Arduino, sarà posta tra settembre e dicembre 2013 una tela polilobata raffigurante l'”Assunzione della Madonna e Santi” (delle dimensioni di 90 metri quadri), opera del maestro Lino Frongia. Nei pennacchi sono raffigurati i quattro evangelisti, mentre sulla superficie della cupola è raffigurata la Pentecoste del russo Oleg Supereco (2011). Nell’area del presbiterio sono posti l’altare, l’ambone e la croce in bronzo argentato realizzati da Ducrot. Nel catino absidale è stato realizzato dal marchigiano Bruno d’Arcevia l’affresco del Cristo Pantocratore. Nei riquadri sottostanti, quasi come a partecipare della Gloria del Pantocratore, l’artista marchigiano ha dipinto i dottori della chiesa, con al centro Sant’ Agostino e Sant’ Ambrogio (2013). Lo stesso Bruno D’Arcevia ha ricevuto l’incarico di affrescare “L’attesa del Giudizio Universale” nella volta del presbiterio.

Sono diciassette in tutto le nuove vetrate di Mori.

Entro luglio 2013 vengono terminate le dodici sculture in gesso bianco, nelle nicchie delle navate laterali, alle quali si aggiungono i due Santi Patroni d’Italia, che sono collocati ai lati dell’ingresso principale.

Nel contempo vengono collocate sulle pareti delle navate laterali le tele raffiguranti le stazioni della Via Crucis di Roberto Ferri.

Inserimento urbanistico e territoriale: si trova sulla sommità di un’ampia scalinata, sul lato nord del Municipio.

Adiacenze: Municipio (lato nord)

Notizie storiche: nel secolo scorso, intorno agli anni cinquanta, furono apportati vari rifacimenti e modifiche nell’apparato decorativo, non sempre ben riusciti, come il trompe-l’oeil delle strutture verticali e la decorazione a tempera delle volte, le radicali modifiche dell’altare maggiore e dell’antico organo e inoltre la sostituzione dell’originaria copertura a falde della navata centrale con un pesante solaio latero-cementizio, che probabilmente fu una delle cause principali del crollo del 1996.

Restauri: nel corso dei secoli, tuttavia, sia la facciata sia l’interno hanno subito numerosi rimaneggiamenti con l’erezione della nuova cupola, opera del netino Cassone.

In seguito al terremoto del 13 dicembre 1990 la chiesa subì alcuni danni strutturali e già allora si pensò di chiuderla al culto e di sottoporla a restauri. Tuttavia non si fece in tempo a prendere tali provvedimenti. La sera del 13 marzo del 1996, a causa di un grave difetto costruttivo dei pilastri della navata centrale, il primo dei piloni di destra che fa da sostegno alla cupola “per schiacciamento” rovinò al suolo, trascinando con sé nel crollo la cupola stessa e per effetto domino l’intera navata destra, la navata centrale e il transetto destro, lasciando miracolosamente in piedi solo una piccola parte del tamburo. Fortunatamente non vi furono vittime, poiché a quell’ora la chiesa non era aperta al pubblico.

Nel gennaio del 2000 hanno avuto inizio i lavori di ricostruzione e di restauro, eseguiti da maestranze locali. Inizialmente sono stati riedificati con conci squadrati in pietra i pilastri di destra, che conservano la forma e le fattezze di quelli originari, ma senza il difetto costruttivo che aveva causato il crollo della basilica. Quindi si è passati alla demolizione e alla successiva ricostruzione dei pilastri della navata sinistra, che riportavano le stesse gravi imperfezioni di quelli crollati. Successivamente sono ritornate all’antico splendore la navata centrale e la navata destra. Ultimo capitolo della ricostruzione della cattedrale è stato l’elevazione della nuova cupola, pressoché identica all’originale. La nuova struttura di copertura della chiesa non è di tipo latero-cementizio (come il solaio crollato risalente agli anni cinquanta), ma è stata ricostruita com’era originariamente con capriate in legno e manto in coppi siciliani, mentre le volte sono realizzate con il tradizionale incannucciato e gesso. Una volta completati i lavori di ricostruzione, sono stati ripristinati gli apparati decorativi in stucco, come capitelli, trabeazione e cornici.

La ricostruzione è stata dunque eseguita con gli stessi materiali e con le tecniche del Settecento. Sono state utilizzate pietre locali assemblate però con moderni metodi antisismici. Proprio per migliorare la resistenza ai forti terremoti si è fatto ricorso infatti a materiali come la fibra di carbonio.

A conclusione di questo lungo e complesso lavoro di ricostruzione e di restauro dell’esistente il 18 giugno 2007 la chiesa è stata riaperta al culto.

Una nuova commissione di consulta per l’eccellenza estetica, istituita dalla Presidenza del Consiglio dei ministri e nominata dal Dipartimento nazionale di protezione civile, ha dato incarico ad artisti contemporanei di fama nazionale ed internazionale per la esecuzione delle nuove opere d’arte all’interno della chiesa.

 

 

 

 

VILLA DEL CASALE – PIAZZA ARMERINA

Storia della Villa

Nel sec. XVII d.C. alcuni contadini, impegnati nel lavoro dei campi dell’alta valle del fiume Gela, ai piedi del monte Mangone, si accorsero che affioravano numerose strutture murarie rivelatesi poi appartenenti alla grandiosa villa imperiale del Casale.

Da quel momento tutta la zona sottostante al monte Mangone fu interessata da campagne scavo non autorizzate dagli organi competenti e molti furono coloro che fecero ritrovamenti di oggetti preziosi. Si ricorda un certo Sabatino del Muto, che nel 1812 operando nella zona della basilica trovò monili d’oro e d’argento, che si dispersero in collezioni private, e una colonna marmorea che vendette alla cattedrale. Da questa frenetica ed illegale attività, mirata solamente al ritrovamento di oggetti preziosi, alcuni pavimenti mosaicati subirono danni.
Ciò nonostante il grosso dei mosaici pavimentali si conservò intatto nella sua composizione e magnificenza fino al punto da stupire gli archeologi che si susseguirono nello scavo della villa.
Ben 3500 mq. di pavimenti mosaicati a disegni geometrici e figurati, realizzati da maestranze africane, furono ritrovati insieme a statue marmoree a grandezza naturale, a torsi marmorei, a capitelli in stile ionico e corinzio, a monete d’oro, d’argento e di bronzo, a colonne e trabeazioni, a teste di statue e tanti altri frammenti marmorei: piedi di statue calzati da sandali, gambe e mani marmoree, che oggi dovrebbero trovarsi nei magazzini del costituente museo archeologico nel Palazzo Trigona in Piazza Duomo.
I mosaici pavimentali portati alla luce raffigurano paesaggi esotici, ville porticate, episodi di caccia e trasporto di animali reali e fantastici, scene mitologiche e marine, ludi circensi, amorini vendemmianti, nereidi, che documentano usi, costumi, cultura, filosofia e vita quotidiana della società aristocratica dominante in quel secolo. Nello stesso tempo costituiscono una sorta di catalogo della fauna (marina e terrestre) conosciuta in quel periodo. Figure di leoni, pantere, elefanti, dromedari, asini, leopardi, tigri, antilopi, cinghiali, lepri, volatili, lucertole e struzzi si alternano a figure di pesci spada, triglie, polipi, murene, ricci, cernie, calamari, seppie, aragoste, meduse e delfini, la cui policromia li rende talmente vicini al reale che anche i non addetti ai lavori possono distinguerli con estrema facilità.
Le differenze stilistiche fra i mosaici dei diversi nuclei sono molto evidenti. Questo, tuttavia, non indica necessariamente un’esecuzione in tempi diversi, ma probabilmente maestranze differenti.
Subito dopo lo scavo iniziò il restauro di tutti i pavimenti e delle strutture murarie, le cui pareti interne ed esterne presentavano e presentano affreschi dai colori che spaziano dal rosso pompeiano al giallo, all’azzurro, al nero, che ben si adattano ai colori dei mosaici pavimentali dei vari ambienti ed inquadrabili nel terzo stile
pompeiano.
Nell’ottobre del 1991, a causa di una valanga di detriti proveniente dal Monte Mangone, tutto il complesso monumentale, sotto la violenza delle acque fangose, rischiò di scomparire per sempre e molti furono i danni subiti.

La Villa del Casale
La Villa Romana del Casale sorge a circa 5 km da Piazza Armerina, in contrada Casale, paesaggio ricco di vegetazione, vicino al fiume Gela.
La posizione del luogo, protetto dai venti, non sfuggì agli occhi del proprietario, che
qui fece costruire una delle più belle ville che i romani abbiano mai edificato, conosciuta in tutto il mondo col nome di “Villa Imperiale del Casale di Piazza Armerina”, nel 1997 è stata riconosciuta dall’UNESCO e inserita nel “patrimonio dell’Umanità”.
La Villa, edificata nel III- IV secolo d.C., presenta 60 stanze e 3500 mq di mosaici pavimentali, che costituiscono un complesso monumentale di inestimabile valore.
La scelta della zona è legata al fatto che è collocata vicino a tre fortezze che assicuravano protezione a tutta la zona sottostante.
La villa imperiale, costruita sui resti di un edificio rustico del II sec. d.C., era circondata dalla campagna ricca di selvaggina e di folti boschi. Luogo che permetteva lunghe battute di caccia, era inoltre sede dove dedicarsi all’otium intellettuale e filosofico, tanto amato dai romani aristocratici e ricchi.
Possedere una villa significava appartenere alla categoria dei ricchi, di coloro che spendevano vere fortune alla ricerca dei piaceri della carne, dello spirito, della villeggiatura e della tavola. Il luogo adatto alla loro realizzazione era la villa al mare, al lago o in campagna, generalmente vicino ad un corso d’acqua. Nel periodo imperiale queste lussuose dimore furono sempre più arricchite di tutte le agevolazioni necessarie alla realizzazione di tali piaceri: vi si costruirono terme, giardini, palestre e triclini a seconda della disponibilità economica del proprietario.
La “Villa Imperiale del Casale” era munita di tutti queste comodità ed il suo orientamento solare fa sì che una parte di essa sia esposta al sole, mentre l’altra rimanga all’ombr,a dando modo al proprietario di poter scegliere o il calore del sole o il fresco dell’ombra.
Il complesso monumentale è formato da quattro raggruppamenti di edifici.
Il primo raggruppamento comprende: le Terme, la Grande Latrina, l’Atrio Poligonale e l’Ingresso a Tre Fornici.
Il secondo: il Grande Peristilio, le stanze degli Ospiti, la Sala delle Ragazze in Bikini e la Diaeta di Orfeo. Il terzo: gli Appartamenti privati del proprietario, la Basilica e l’Ambulacro della Grande Caccia.
Il quarto comprende: la Sala Tricora e lo Xystus.

Il Proprietario
L’identificazione del proprietario è stata a lungo discussa e molte diverse ipotesi sono state formulate.
Quella del Casale diventa una delle tante ville costruite da grossi latifondisti ritiratisi in campagna ad amministrare i propri fondi.

Il Mosaico
La parola “mosaico” deriva dal greco e significa “opera paziente, degna delle Muse”.
Senza dubbio rappresenta una delle più alte espressioni dell’arte e uno dei più antichi e appariscenti mezzi d’ornamentazione, tramandateci fin dall’epoca romana.
Quella del mosaico è una tecnica decorativa che consiste nella creazione di motivi
puramente geometrici, o complesse composizioni figurative con l’accostamento di
piccoli frammenti colorati ed opportunamente preparati.
Questo caratteristico tipo di decorazione viene impiegato prevalentemente su ampie e lisce superfici, quali pareti, pavimenti, soffitti e volte. Talvolta la tecnica del
mosaico viene adattata anche ad oggetti di minute dimensioni.
I frammenti possono essere di svariato materiale come il marmo, il vetro, la pietra e
qualsiasi altra materia dura che si possa ridurre in piccole tessere. Viene impiegato
anche il materiale di scarto, come piastrelle, mattoni vecchi etc.

Sala delle unzioni
Il mosaico è posto sul pavimento e vi sono raffigurate delle figure intente a ungersi. La figura al centro è servita da due servi che tengono in mano strigile e ampolla dell’olio. Altri due schiavi (Tite e Cassi) reggono un secchio e una scopa. Il mosaico presenta restauri più tardi rispetto alla sua composizione.

Frigidarium
Nelle lunette pavimentali delle nicchie è raffigurata la famiglia al completo con la servitù. Troviamo la figura di una donna intenta a spogliarsi aiutata da due ancelle, è la figlia dell’imperatore Massimiano: Fausta.
Nella seconda nicchia troviamo tre uomini. Massenzio, il figlio dell’ imperatore, è quello al centro seduto su uno sgabello di leopardo, avvolto in un accappatoio di lino e servito da due servi che gli porgono le vesti. La figura di Massenzio è strabica, poiché era davvero affetto da strabismo.
Sul pavimento del frigidarium vi è una scena marinara. Vi son quattro barche accerchiate da figure mitologiche condotte da amorini pescatori.
La cupola del frigidarium era mosaicata con tessere di pasta vitrea.

Edicola di Venere
Decorata da motivi geometrici.

Vestibolo
Pavimento con motivi esagonali e ottagonali.

Cortile poligonale
Mosaici con motivi a squame. Il pavimento dell’atrio è in balatino.

Ingresso villa
I Ninfei erano rivestiti da tessere bianche. Sul prospetto esterno del pilone si trova un affresco mal conservato che raffigurava il signum con raffigurate le quattro teste auree dei tetrarchi.

Sala del vestibolo dell’adventus
Mosaico con emblema dell’adventus (=arrivo), dentro una cornice bianca rossa e nera abbiamo due registri dove son raffigurate persone che accolgono l’imperatore. Registro 1: tre giovani con capo coronato da ramoscelli tengono un dittico da legger all’imperatore. Registro 2: due giovani con ramoscelli d’alloro e un uomo con barba che regge il cerularium bronzeo con la candela accesa. Tutti i personaggi son rivolti a destra, dove stava la figura dell’imperatore.

Larario
Nel pavimento è raffigurato un mosaico con un ottagono formato dalla sovrapposizione di due quadrati, il tutto contiene trecce multicolori. Nell’ottagono è raffigurata poi una corona di alloro in un nastro porpora racchiudente una foglia di edera.

Peristilio
Nel pavimento del quadriportico son mosaicate due differenti corone di alloro contenenti protomi di animali domestici e selvatici dentro a riquadri sui cui angoli sono posti uccelli e foglie di edera.

Piccola latrina
Sul pavimento vi erano mosaici con raffigurazioni animali: gattopardo, onagro, lepre, pernice e ottarda.

Palestra
Pavimento decorato con competizioni del Circo Massimo di Roma in onore di Cerere. Gara di quadrighe.
Nell’abside di destra son raffigurati tre templi dedicati a Giove, Roma ed Ercole e sotto di questi la vestizione dell’auriga, che riceve da due servi elmo e frusta. Più in basso vi erano le 12 porte dei carceres con divinità da cui partivano i concorrenti e il tribunale, dove risiedeva il giudice che dava il via alla gara.
A sinistra vi è raffigurato, ai lati di un arco eretto in onore di Tito, un palco con spettatori, dove vi è un giovane che distribuisce pani. Sotto il palco vi è un tempio eretto per il dio Conso.
Nell’arena due carri si scontrano. Un’ovaria posta sulla spina indica che si è a metà percorso, mentre l’altra posta a terra indica che nessun giro e stato ancora compiuto. Tutta l’arena è invasa da giovani che vuotano acqua sulle ruote delle quadrighe. A ovest dell’arena è inscenata la premiazione da parte di un magistrato togato al vincitore.

Vestibolo trapezioidale
Il pavimento presenta la scena della domina o signora della villa: Eutropia.
Ella è la moglie di Massimiano ed accompagna i figli Fausta e Massenzio. Massenzio è sempre presentato strabico. I personaggi imperiali son rappresentati con le mani coperte da un velo trasparente, che non è disegnato e rappresentato, si capisce la presenza del panno dalle dita dei personaggi che lo stanno tenendo. Alle estremità della scena vi son due ancelle. Quella di sinistra tiene una cesta con delle vesti ripiegate, mentre quella di destra regge una cordicella che è appesa a una cassetta contenente oli da usare nella sala delle unzioni e una tracolla contenente il necessario per i bagni. A destra della scena vi sono una cathedra e un enorme vaso bronzeo.

Sala del forno
Pavimento mosaicato con esagoni riempiti da croci o ottagoni. Il pavimento vicino all’ingresso presenta un taglio, su cui si poggiava il piano di lavoro per la cottura di vasellame.

Sala intermedia
Mosaicata con disegni geometrici esagonali, quadrati o a stelle con all’interno cerchi, rose e stelle.

Cucina
Sul lato nord della stanza si ha una vasca ricoperta da tessere bianche di grandi dimensioni.
Sul pavimento della stanza continuano i motivi geometrici

Sala della danza
Era una camera da letto per gli ospiti, prende il nome dal mosaico che presenta su due registri scene di danza.
Nel primo registro vi son giovani che alzano da terra delle ragazze.
Nel secondo vi è una ragazza vestita con un abito che si stringe sotto il seno e che mentre danza muove un drappo rosso e un giovane vestito di una corta tunica. La scena potrebbe rifarsi al Ratto delle Sabine.
Gli affreschi sulle pareti sono oggi distrutti.

Sala con disegni a stelle
Mosaico decorato da quadrati che si intersecano e formano stelle a otto punte e all’interno hanno ottagoni contenenti rosoni o intrecci di nastri multicolori.

Sala delle quattro stagioni
Di pianta rettangolare, ha funzione di vestibolo alla sala interna. Vi si accede dal peristilio. Nel pavimento troviamo raffigurati, all’interno di quattro medaglioni, mezzibusti rappresentanti, nell’ordine, le STAGIONI:
PRIMAVERA rappresentata come una giovane con le rose in testa;
ESTATE rappresentata come un giovane con le spighe in testa;
AUTUNNO ci è presentato come una giovinetta col capo reclinato;
INVERNO visto come un giovane con foglie in testa ed un manto sulla spalla; accanto a questo medaglione ne troviamo altri raffiguranti volatili e pesci, che stanno a simboleggiare i segni zodiacali delle stagioni.

Sala degli eroti pescatori
Sala quadrangolare con funzioni triclinari (ovvero di sala da pranzo) per gli ospiti. Affreschi raffiguranti rettangoli sono figurati sulle pareti.
Sul pavimento troviamo una scena marinara: degli eroti su quattro barche stan pescando, ci presentan dei metodi di pesca (rete, lenza, fiocina e nassa).
In fondo alla scena vediamo una villa formata da due ali laterali con un portico colonnato.

Sala della piccola caccia
Sala rettangolare con funzione di soggiorno. Accesso nel portico nord del peristilio. L’ingresso è colonnato e si presume, data l’assenza dei fori per gli stipiti della porta, che la sala fosse chiusa da una tenda.
Nel pavimento convergente verso il portico del peristilio è rappresentata una battuta di caccia disposta su 5 registri:
– due servi accompagnano i cani sul luogo di caccia;
– prima di iniziar la caccia un personaggio fa un “sacrificio incruento” a Diana (dea della caccia) bruciando incenso; Diana è con arco e faretra e alla scena presenzia Massenzio (strabico e con a tunica ornata da clavi e foglie di edera);
– due falconieri scrutano il fogliame di un alloro, su cui si trovano due tordi;
– un cane azzanna una lepre, a destra un cavaliere infilza una lepre;
– cattura dei cervi che vengon spinti verso una rete da dei cavalieri; un cinghiale, a destra, si avventa su un giovane a terra e al centro di tutta la scena i venatores o cacciatori, sotto una tenda rossa, mangiano, mentre i servi offrono vino e prelevano pezzi di carne dai cesti.

Le stanze 26 e 27 sono a piante quadrangolare ed erano ambienti per il personale di servizio. La stanza numero 27 funge da vestibolo per la 26 ed è denominata SALA A OTTAGONI per via di ottagoni che racchiudono medaglioni con una rosa presenti nel pavimento.
Troviamo un pozzo di età normanna, proprio da qui si accedeva al portico nord del peristilio. La stanza numero 26 è chiamata SALA A DISEGNI QUADRATI per il motivo presente (quadrati appunto).

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Ambulacro della grande caccia
E’ un corridoio di 200 piedi romani (circa 60 metri) con funzione di disimpegno degli appartamenti imperiali posti a lato della basilica e di collegamento del peristilio con la grande sala del triclinio.
L’ambulacro alle due estremità è chiuso da esedre decorate con figure femminili, affiancate da animali, che raffigurano le due province estreme dell’impero romano: la MAURETANIA a sinistra e l’INDIA a destra.
Sul pavimento son raffigurati vari episodi di caccia. La parte sinistra del corridoio rappresenta le 5 province che formavano la DIOCESI DELL’AFRICA, in ogni provincia troviamo una scena raffigurante la cattura di un animale tipico del luogo:
-Mauretania (pantere)
-Numidia (antilopi)
-Tripolitania (cavalli selvatici)
-Proconsolare (leone berbero, oggi estinto)
-Bizacena (cinghiale).
Gli animali catturati son trasportati tramite carri detti angaria trainati da buoi al porto di Cartagine, dove verranno imbarcati su un veliero. Due servi trascinano sulla nave due struzzi e un caprone.
Più avanti troviamo un mosaico raffigurante lo sbarco nel porto di Ostia;
due funzionari assistono all’operazione.
Significativa la figura dell’elefante, presente solo in presenza dell’imperatore: questo avvalora la tesi a favore dell’imperialità della villa.
La parte del corridoio aperta verso il peristilio presenta una serie di colonne marmoree con capitello composito (corinzio-ionico). Più avanti al porto d’Alessandria d’Egitto vediamo un veliero, su cui viene imbarcato un elefante insieme ad un bisonte reso inoffensivo da un pezzo di legno posto sopra alle corna. Vengon inoltre catturati: dromedari, tigri, un ippopotamo e un rinoceronte.
Osservando le zampe degli animali si nota che son di colore diverso rispetto alla parte superiore del corpo, questo sta a simboleggiare che sono in acqua. Un nobile, riconosciuto da Orange (studioso) come Massimiano, assiste alla cattura protetto da due soldati con scudi.
Più avanti v’è un milite con scudo, sulla cui veste troviamo la croce uncinata, simbolo della rotazione solare nella forma del dio delle quattro stagioni.
Nella pare finale dell’ambuacro troviamo la cattura dei tigrotti da parte di un soldato a cavallo, che distrae intanto la madre lanciando una palla di vetro. Troviamo inoltre la cattura di un grifone e l’uccisione dell’asino selvatico, oggi estinto, ad opera di un leone.
Nell’esedra che chiude l’ambulacro c’è una figura femminile con la pelle scura, acconciatura a boccoli e zanna di elefante in mano. Rappresenta l’INDIA.
Dietro la ragazza si trovano una serie di strisce appese a un ramo per la cattura degli elefanti e l’araba fenice (uccello del mito, venerato a Heliopolis in Egitto).
Gli animali catturati erano esibiti al Circo Massimo e al Colosseo di Roma.

L’ambiente 29 fa da vestibolo al numero 30. Il pavimento è mosaicato con disegni geometrici e le pareti sono affrescate con figure. Vi si accedeva dal portico meridionale del peristilio quadrangolare.

Sala delle dieci ragazze in bikini
Ambiente preceduto da un vestibolo (stanza numero 29). Presenta un doppio pavimento: uno a disegni geometrici e uno, sovrapposto al primo in una fase più tarda, indica il mutamento d’uso della sala. Presenta ragazze vestite con subligar e stropkion impegnate in varie competizioni sportive: salto coi pesi in mano, lancio del disco, corsa campestre e gioco con la palla.
Le due vincitrici vengono incoronate e una riceve una corona di fiori e la palma della vittoria, mentre l’altra, con ruota raggiata in mano, sta per essere incoronata da una ragazza vestita con un manto aureo.
Segue a questo ambiente uno spazio per le condutture d’acqua, provenienti dal grande serbatoio, che alimentavano la grande fontana al centro del giardino del peristilio e i sevizi.

Diaeta di Orfeo
Sala rettangolare con esedra in fondo, nella quale si trova la statua marmorea di Apollo Liceo (copia romana di un’opera dello scultore ateniese Prassitele).
Sala destinata alle audizioni musicali. Al centro del pavimento Orfeo è raffigurato intento a suonare la cetra seduto su una roccia.
Orfeo (figlio di Eagro e Calliope) perse la moglie Euridice a causa di un morso di serpente ottenuto mentre la ninfa stava fuggendo inseguita dal pastore Aristeo (figlio di Apollo), che voleva sposarla.
Orfeo scende nell’Ade e addormenta Cerbero suonando la cetra.
Ade e Persefone si impietosiscono e concedono a Orfeo la sua amata ad una condizione: non si sarebbe dovuto voltare a guardarla finché non sarebbero usciti dall’Ade. Patto non rispettato da Orfeo che, voltandosi, vedrà Euridice svanire nel nulla.
Orfeo suona ancora la cetra e tutti gli animali della terra volgono lo sguardo verso di lui.
Quest’ultima parte è proprio quella che troviamo raffigurata nel pavimento della diaeta.
Orfeo da allora dimenticò l’amore e venne ucciso dalle menadi (donne seguaci di Dioniso, in preda alla frenesia). Nella morte si ricongiungerà con Euridice per l’eternità.
La cetra e parte delle membra del musico, gettate in mare, arrivano sulla riva di Lesbo. Questo mito siboleggia il potere della poesia e della musica sulle cose terrene.

Cortile privato
Mette in comunicazione gli appartamenti privati della famiglia imperiale con la sala del triclinio, costituendo l’ingresso privato del dominus o signore per raggiungere la grande sala da pranzo (triclinio). La soglia d’ingresso è ornata da colonne marmoree a testimonianza dell’importanza del cortile.

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Triclinio

Sala quadrata con profonde absidi sui tre lati. Qui erano ospitati a pranzo gli ospiti del dominus. Dentro una cornice troviamo le 12 fatiche di Ercole (commissionategli da Euristeo per ridicolizzarlo)
1) L’uccisione con la la forza delle braccia del leone di Nemea (invulnerabile alle armi), scuoiato da rcole che lo utilizzò come veste e dalla testa ricavò un elmo.2) L’uccisione dell’idra di Lerna.
3) La cattura del cinghiale d’Erimanto sul monte Erimanto.
4) La cattura della cerva di Cerinea (con piedi di rame e corna d’oro). L’animale era sacro a Diana ed Ercole, per non recare offesa alla dea uccidendolo, lo insegue per un anno riuscendo poi a catturarlo.
5) L’uccisione degli uccelli Stinfalidi, abitanti dello stago Stinfalo, si nutrivano di carne umana.
6) La conquista del cinto dell’amazzone Ippolita, regalatole da Ares, per esser poi donato alla figlia di Euristeo, Admeta. Ercole ucciderà Ippolita (una variante del mito narra che la diede in sposa a Teseo)
7) La pulizia delle stalle di Augia, re dell’Elide, che non venivan pulite da 30 anni.
8) La cattura del toro di Creta, che Poseidone aveva mandato sull’isola per punire Minosse (che aveva trascurato un sacrificio promesso). Ercole si carica il toro sulle spalle e lo porta da Euristeo.
9) La cattura delle cavalle di Diomede (figlio del dio Ares). Cavalle feroci nutrite con la carne di stranieri uccisi da Diomede. Ercole lo uccide e o fa sbranare dalle sue stesse cavalle.
10) La conquista dei buoi di Gerione (gigante con tre corpi figlio di Crisaore e Calliore). Ercole, oltre a uccidere Gerione, uccide il drago dalle sette teste e il cane bicipite Otros, posti a guardia dei buoi.
11) La conquista dei pomi aurei, custoditi dal drago Ladone. I pomi aurei si trovavano in Mauretania, in mezzo al giardino delle Esperidi (figlie di Atlante). L’abero dei pomi aurei era stato regalato da Gea (la terra) a Hera nel giorno delle sue nozze con Zeus.
Ercole pregò Atlante di coglierne alcuni, mentre lui avrebbe sostenuto la volta del cielo al posto del titano. Nel triclinio questa fatica è rappresentata da serpente con due teste ucciso dalle frecce di Ercole.
12) La cattura di Cerbero, cane a tre teste, figio di Echidna e Tifone. Le tre teste simboleggiano la distruzione di presente, passato e futuro. Ercole libera dal mondo dei morti Teseo, che toviamo rappresentato nel triclinio mentre tiene cerbero al guinzaglio.
Nell’angolo sud-ovest del pavimento ci sono mosaicati la prua dell’imbarcazione degli Argonauti diretti alla Colchide per la conquista del vello d’oro. Vediamo anche una mano verde di un mostro marino vinto da Ercole e la testa di Amicos (re dei Bebrici) grondante di sangue. In ogni angolo ci sono i cavalieri bistoni uccisi dalle frecce di Ercole. Nell’abside di sinistra c’è la glorificazione di Ercole. Ercole è posto al centro nudo, possente e muscoloso, con la pelle di pantera sulle spalle annodata sul petto. A destra un personaggio, probabilmente Zeus, lo incorona. A sinistra Iolao, suo inseparabile compagno, lo tiene per il braccio. Si vuol mostrare la glorificazione dell’imperatore Massimiano per le vittoria in Germania, in Britannia (dove sconfigge il ribelle Carausio, inginocchiato nell’angolo sinistro) e in Africa.
Nella fascia che collega le tre absidi, in corrispondenza di quella con la glorificazione di Ercole, ci sono le metamorfosi di Dafne e Ciparisso:
– Dafne, figlia di Peneo, era amata da Apollo. Per fuggire dal dio invocò l’aiuto del padre, che la mutò in una pianta di alloro. Apollo abbracciando la pianta sentì palpitare il cuore dell’amata: da quel giorno i rami fronzuti dell’alloro avrebbero incoronato poeti, imperatori e guerrieri valorosi.
– Ciparisso, giovinetto caro ad Apollo, volle morire dopo aver erroneamente ucciso il cervo dalle corna auree donatogli dal dio. Apollo, impietosito, lo mutò n cipresso: simbolo della tristezza e sacro ad Ades (dio dei morti).
Nell’abside centrale, contenente un basamento marmoreo su cui v’è un mezzobusto marmoreo rappresentante Ercole, si trova la cosiddetta Gigantomachia: cinque giganti tentano di togliersi le frecce, avvelenate dal sangue dell’idra, scagliate contro di loro da Ercole. La scena mostra la punizione dei giganti che avevano osato sfidare Zeus. I giganti nacquero, secondo il mito, dal sangue di Urano, caduto sulla Terra (Gea) quando fu evirato dal figlio Crono. I giganti sono immaginati con serpenti al posto dei piedi, erano infatti sopraffattori e malvagi.
Nella fascia di raccordo, sotto ai giganti, sono raffigurati Esiòne e Endimione.
-Esiòne è raffigurata mentre addita la bestia marina mortalmente ferita dalle frecce di Ercole. Laomedonte, re di Troia e padre di Esiòne e Priamo (Podarce), aveva il difetto di non mantenere le promesse: aveva tradito una promessa fatta a Nettuno, che lo aveva aiutato nella costruzione delle mura di Troia. Per punire Laomedonte, Nettuno scagliò il mostro nel territorio di Troia. L’oracolo sentenziò che sarebbe dovuta esser sacrificata Esiòne. Ercole uccise il mostro in cambio dei cavalli veloci e immortali in possesso del re di Troia. Laomedonte venne meno al patto e per questo fu ucciso.
-Endimione, bellissimo pastore della Caria, è semisdraiato con il braccio sollevato ad indicare Selene (luna) che cala. Il mito narra che Endimione fu condannato da Zeus a dormire per trent’anni sul monte Latmo, perché aveva osato correggere Hera. Artmide (Diana), innamorata del giovane, gli faceva visita ogni notte sotto le spoglie della luna per baciarlo con i raggi di luce lunare.
Nell’abside di destra è raffigurata la metamorfosi di Ambrosia. Al centro c’è la figura nuda e possente di Licurgo, re della Tracia, che tenta di uccidere con la “bipenne” la baccante Ambrosia, che ha già iniziato a mutarsi in pianta di vite, i cui tralci si avvinghiano attorno alle gambe del re della Tracia. Dietro a Licurgo troviamo il corteggio dionisiaco, ossia le tre menadi, una di loro scaglia contro al re una pantera (sacra a Dioniso). Dietro Ambrosia ci sono Dioniso, Pan e Sileno.
Nella fascia di raccordo sono raffigurate le teste di un caprone e di un cammello a indicare le metamorfosi di Ampelos e Kissos. Il mito narra che Dioniso, figlio di Zeus e Semele, durante un baccanale fu sorpreso da Licurgo (figlio di Driante e re della Tracia), che lo scacciò violentemente dal suo territorio uccidendo molti satiri e menadi e imprigionando coloro che erano scampati a quella strage. Licurgo proibì inoltre la coltivazione della vite nel suo territorio recidendo tutti i vitigni con la propria ascia. Il re della Tracia, reso folle da Zeus, uccise il proprio figlio scagliandolo per un tralcio di vite. Al grido di dolore le menadi e i satiri imprigionati furono liberati dalle catene e si scagliarono su Licurgo uccidendolo.

Portico ovoidale (Xystus)
Ampio triportico di forma ellittica con i lati lunghi ad ellisse terminanti in un’abside con tre nicchie, in cui dovevano essere statue marmoree. Vi è un cortile interno a cielo aperto, con fontana centrale e pavimento a mosaico con motivo a zig-zag contornato da lastre di calcare. I pilastri in muratura, un tempo sorreggenti la copertura spiovente verso il cortile centrale, erano foderati da lesene marmoree e sormontati da capitelli rettangolari. Bassi plutei chiudevano gli intercolumni dei pilastri-colonne. Ai lati dei due pilastri, di fronte la gradinata che da accesso al triclinio, si conservano glialvei di due fontane, mentre la composizione musiva che si stende nelpavimento del portico ovoidale, raffigura volute d’acanto, i cui girali racchiudono avancorpi di animali quali: tigri, leoni, lupi, cervi, cavalli ecc. I girali, di dimensioni inferiori, invece racchiudono palmipedi.
Gli affreschi parietali dei portici presentavano figure a grandezza naturale, i cui resti sono ancora oggi visibili nelle parti basse dell’alzato originale. Lungo i due lati più grandi di questo portico ovoidale si sviluppano 6 ambienti (tre per ogni lato) con pavimenti a mosaico. Meglio conservati sono quelli a nord, nei cui pavimenti, delimitati da cornici a 8 filari, sono
illustrati temi collegati alla produzione del vino. Il mosaico pavimentale dell’ambiente di sinistra, oggi completamente scomparso, raffigurava la coltivazione della vite; quello della stanza di destra la vendemmia; quello centrale la pigiatura dell’uva da parte di amorini.
Superbo, anche se un po’ lacunoso, il medaglione che campeggia al centro della composizione musiva della stanza di destra: una cornice ad onda racchiude una figura barbuta e coronata che tiene in mano un bastone, forse il dio Dioniso. Era in queste stanze che i commensali, dopo aver mangiato e poi bevuto e dopo aver fatto il famoso gioco del cottabo che dava diritto al vincitore di scegliersi un’etera (un’intrattenitrice), si appartavano (con le ragazze scelte) per dei lussuriosi incontri amorosi nei quali le etere erano vere professioniste.

Corridoio
Vicino all’abside del portico ovoidale c’è un corridoio che collega il peristilio quadrangolare con il portico ovoidale del triclinio. La soglia d’ingresso del peristilio quadrangolare è adorna di un mosaico raffigurante un kantharos (vaso romano) con volute di acanto, mentre il resto del pavimento presenta una decorazione musiva somigliante a quella del portico ovoidale: volute racchiudenti avancorpi di tigri,
cavalli, ecc. È da questo corridoio che i commensali potevano raggiungere il complesso Triclino – Portico Ovoidale.

Cucina
Due pietre sporgenti dal muro ci portano a pensare che un tempo questa sala fosse utilizzata come cucina. Un’area di servizio funge da mediatrice tra cucina e xystus. A seguire, appena fuori da questa stanza, costeggiando l’esedra, possiamo scorgere le stanza frequentate dalla famiglia imperiale.

Diaeta di Arione
Era questa la sala nella quale la domina o padrona della villa trascorreva piacevoli ed
oziosi soggiorni musicali e filosofici a carattere privato. Lussuosissimo ambiente ellittico, con grande abside finestrata e lunetta pavimentale caratterizzata da un bellissimo mosaico rappresentante la testa del dio Oceano (personificazione delle acque che circondano la terra) con chioma e barba ornate di rosse chele di gambero e con bocca aperta, da cui fuoriescono creature marine, presenta il pavimento avvallato verso nord. Una cornice a meandro (con greche) delimita la superficie pavimentale in cui è mosaicato il poeta Arione che, attorniato da grifi e pantere, da tigri e leoni, da cervi e lupi, da ippocampi e tritoni, da centauri portanti cofani di perle e da nereidi che si specchiano o che offrono cibo ai mostri marini, suona la cetra seduto sul dorso di un delfino. Sopra Arione, rappresentato col manto fluttuante e con cappello sormontante le lunghe chiome, due amorini svolazzanti sorreggono un parapetasma di colore rosso. Altri due amorini mettono sotto i piedi del poeta un cuscino rosso. L’ingresso di questa sontuosa diaeta, fronteggiante l’atrio ad esedra, è fiancheggiato da colonne marmoree sormontate da capitelli di ordine corinzio. Lungo le pareti, un tempo incrostate di pregevoli lastre marmoree si aprono quattro finestre, che permettevano alla luce di illuminare la sala.

Atrio Porticato
Atrio Porticato con impluvium per la raccolta d’acqua piovana. La sua funzione era mettere in collegamento i cubicula (camere da letto) dei figli del proprietario con la grande diaeta di Arione, la sala di soggiorno della domina della villa. Il motivo mosaicato, delimitato da una cornice prospettica, è di genere marino: amorini su barche pescano vari tipi di pesci con reti, nasse, fiocine e lenze. Cinque edifici uniti da portici e coperti da tetti a doppio spiovente ed una cupola, da cui spuntano chiome di alberi, circondano la scena marina, ci sono poi amorini che giocano in mezzo al mare con anatre selvatiche. Portici semicircolari sono presenti nelle fastose domus romane della classe dirigente senatoriale. Le quattro colonne marmoree attornianti un ninfeo e sorreggenti il compluvium che indirizzava l’acqua piovana nell’impluvium, pavimentato con lastre di calcare locale, sono sormontate da capitelli in stile ionico. Le pareti presentano affreschi raffiguranti giovinetti nudi entro una riquadratura di colore rosso pompeiano.

Cubicolo del piccolo circo
Aula rettangolare con pavimento a mosaico, fungeva da vestibolo al cubicolo interno. La decorazione musiva pavimentale mostra una parodia dei Ludi Circensi, che richiama le are con bighe al Circo Massimo i Roma. La spina centrale, delimitata dalle metae laterali ed adorna dell’obelisco di Augusto, divideva l’arena del circo in due parti. Nella prima parte, da destra a sinistra, sono raffigurate le fazioni Russata (Rosso) ed Albata (Bianco); nella seconda parte sono la Venata (Azzurra) e la Prasina (Verde), che ha vinto la gara e riceve la palma della vittoria. Al posto dei cavalli, qui vi sono fenicotteri, oche bianche, trampolieri e colombacci, che tirano i carri con bambini-aurighi. Oltre a rappresentare le quattro fazioni, le bighe rappresentano le stagioni. Le rose attorno al collo dei fenicotteri indicano la primavera; le spighe delle oche bianche l’estate; i grappoli d’uva dei trampolieri l’autunno; le foglie attorno al collo dei colombacci l’inverno. Una cornice a meandro spezzato circonda la superficie mosaicata. Le pareti mostrano tracce di decorazione pittorica a scomparti.

Cubicolo con musici ed attori
Ambiente rettangolare con abside decorata da colonne marmoree (sono rimaste solamente le basi) e con pavimento a mosaico, costituiva la camera da letto (dormitorium, cubiculum) di uno dei figli del proprietario della villa. La lunetta pavimentale dell’abside, delimitata da una cornice a triangoli, presenta una scena figurata in eccellente stato di conservazione: ai lati di un albero, su cui campeggia una foglia di edera, simbolo della stirpe Herculea, sono due giovinette che, sedute sui cesti, intrecciano corone di fiori appese ai rami dell’albero. Più in basso è una trapeza con sopra copricapi diademati (simboli regali) sormontati da corone di fiori e fiancheggiati da sacchetti, con premi destinati al vincitore. Nel resto della superficie pavimentale a mosaico e su tre distinti registri è rappresentata una gara di musici e di attori. Nel registro superiore sono raffigurati cinque personaggi che suonano diversi strumenti: cetra, siringa, tibia, tuba. Quasi tutte le figure hanno il capo cinto da ghirlande di fiori. Nel registro mediano vi sono figure femminili facenti parte di un coro, altre intente a suonare uno strumento musicale. Al centro, su base in muratura, c’è un oggetto circolare con lettere greche e ci sono figure maschili con tunica lunga che tengono appesi al collo tamburi. Nel registro inferiore vi sono altri fanciulli e fanciulle che, vestiti con abiti sontuosi, suonano altri strumenti. Vi è un altro oggetto circolare con lettere greche. Alcuni studiosi hanno voluto vedere in questa scena figurata feste pagane del mese di maggio o comunque di primavera. Nel corso della festa in onore di Cerere (Cerealia) erano previste gare al Circo Massimo di Roma (nel vestibolo del piccolo circo è rappresentata una gara al Circo). Le pareti erano adorne di decorazioni pittoriche, su cui furono poste lastre marmoree in una seconda fase.

Vestibolo di Eros e Pan
Mito di Pan: Pan, figlio di Mercurio e della ninfa Penelope, nato con i piedi di capra, due corna in fronte e barba, era talmente brutto che la madre quando lo partorì rischiò la morte per lo spavento; mentre il padre lo portò nella dimora degli dei, nell’Olimpo. Pan si innamorò di Siringa, ninfa d’Arcadia, la rincorreva per sottometterla alle sue voglie e, quando stava per raggiungerla, il padre di Siringa intervenne trasformandola in canneto che, ondulando al vento, provocava rumore, che Pan scambiò per un lamento. Pan, per avere un ricordo dell’amat, tagliò 7 canne (7 note musicali) e disponendole in ordine decrescente creò lo strumento musicale chiamato siringa.
Aula rettangolare con superficie pavimentale a mosaico, le pareti presentano tracce di decorazione pittorica. Nel pavimento, dentro una cornice a foglie, c’è il mosaico policromo di Eros e Pan impegnati in uno scontro dall’esito incerto. Un corteggio, composto da tre menadi con tirsi in mano e da un satiro con un pendum (bastone ricurvo) nella mano sinistra, tifa per Pan. In primo piano c’è l’arbitro, che, con barba a punta, capo cinto da una corona vegetale e braccio steso, da inizio alla lotta. Al gruppo che tifa per Pan fa rispondenza ad un gruppo di fanciulli e fanciulle che tifano per Eros. In quest’ultimo gruppo, alcuni studiosi hanno voluto vedere i componenti della famiglia dell’imperatore Massimiano (Massenzio, Fausta, Eutropia, Teodora e un’ancella). Sopra le due divinità compare una trapeza rettangolare su cui ci sono copricapi pannonici con rami di palma, mentre sotto ci sono due sacche contenenti il valore segnato all’esterno. Altri studiosi hanno interpretato le due sacche come segno dell’equità, a voler dire che tutti e due i contendenti partono dallo stesso piano, nessuno dei due è avvantaggiato. Infatti il numero delle figure dietro Pan corrisponde a quello dietro Eros, dando così alla scena una visione perfettamente bilanciata.

Cubicolo dei fanciulli cacciatori
Era la camera da letto di uno dei figli del ricco proprietario della villa. Presenta l’alcova rettangolare, un tempo adorna di colonne marmoree, e pareti rivestite di marmo in una seconda fase. La composizione musiva pavimentale, articolata in due parti, è di genere figurato. Quella dell’alcova è divisa in due registri:
Nel primo registro ci sono due fanciulle che raccolgono delle rose dagli alberi.
Nel secondo ci sono altre due fanciulle che costruiscono ghirlande appese al ramo di un albero.
Nella soglia d’ingresso all’alcova è raffigurato un giovane che porta sulle spalle una pertica, alle cui estremità sono cesti pieni di fiori. Nell’anticamera è mosaicata una scena di caccia divisa in tre registri.
In quello superiore appaiono un fanciullo che col venabulum infilza una lepre, a destra un altro fanciullo tiene al guinzaglio un palmipede, mentre al centro c’è un ragazzo che spinge la lepre in direzione del suo compagno. In quello mediano vi sono gli animali che cacciano i bambini: a sinistra una donnola morde al polpaccio un bambino che sanguina; al centro c’è un ragazzo che chiama aiuto; a destra un gallo becca un bambino caduto a terra. In quello inferiore ci sono un fanciullo che caccia un pavone, un ragazzo reggente uno scudo, a destra vi è raffigurata la caccia ad una capra col venabulum. Della ricca decorazione pittorica parietale è rimasta ben poca cosa: la figura di una inserviente che regge nelle mani una cassetta; quadrati rossi e triangoli gialli.

La grande basilica
La grande basilica è la stanza regale. L’ambiente era costituito da una navata rettangolare con ingresso adorno di due colonne di granito e di una gradinata di accesso, in asse col centro del peristilio e in corrispondenza della terra fra i due mari raffigurata nel grande mosaico della caccia simboleggiante la città di Roma unificatrice dei popoli; in fondo un emiciclo o abside originariamente doveva contenere una statua di Ercole. Al centro vi era un podio per il magistrato. Era la sala di rappresentanza per i ricevimenti nelle ville private dell’aristocrazia. Questo era un modo per il dominus di esibire la propria posizione sociale di fronte alla clientela. Il problema dei rapporti fra basilica pagana e basilica cristiana è oscuro; ma è quasi certo che quest’ultima sia l’erede di quella, almeno sotto il profilo architettonico.

Vestibolo di Polifemo
Dall’ambulacro della grande caccia si accedeva a questo ambiente di lusso, con pavimento a mosaico e pareti decorate con quadretti figurati. Fungeva da vestibolo alle stanze più interne destinate a camere da letto. La superficie pavimentale, delimitata da una banda a cinque filari, è adorna di uno splendido mosaico raffigurante Ulisse e Polifemo dentro una grotta. La gigantesca figura di Polifemo regna al centro del vasto quadro ispirato all’epos omerico. Egli, seduto su un grande masso, tiene sulla gamba sinistra un ariete sventrato, mentre con la mano destra si accinge a prendere il cratere di vino che l’eroico Ulisse, vestito con corta tunica e pileo in testa, gli offre con l’intento di ubriacarlo e poi accecarlo nell’occhio posto sulla fronte (come dice Omero nell’Odissea). Dietro Ulisse ci sono due suoi compagni intenti a riempire un altro cratere di vino da offrire al Ciclope. Tutt’intorno vi sono pecore e arieti del gregge di Polifemo. Il tutto si svolge dentro l’antro del Ciclope, che la tradizione orale collega con una grotta presso Milazzo. Polifemo, raffigurato con tre occhi, è rappresentato nel binomio di Umano-Divino (dunque il discorso che i tre occhi personificano i crateri dell’Etna o che le maestranze abbiano commesso un errore non conoscendo la mitologia, lascia il tempo che trova). L’opera esprime l’intelligenza di Ulisse contro la forza bruta di Polifemo.

Cubicolo della Scena erotica
Spaziosa e fastosa camera con alcova rettangolare scandita da pilastri poligonali. Era questo l’ambiente destinato a camera da letto per il proprietario della villa. Presenta il pavimento a mosaico, il cui motivo è un complicato intreccio di disegni geometrici e figurati. Il disegno presenta un dodecagono con ghirlanda d’alloro entro cui vi è una scena erotica: un’avvenente signora nel baciare un efebo (reggente nella mano sinistra un secchio e nel manto della frutta) scopre le grazie che madre natura le ha donato, un bellissimo fondoschiena. Piccoli quadrati ed esagoni, contenenti mezzibusti personificanti le stagioni, generano stelle con tondi centrali contenenti ghirlande e maschere. Una composizione a “Guilloche” chiude questo splendido tappeto musivo. Nel pavimento dell’alcova rettangolare, chiusa da una cornice ad arco acuto, si estende un’altra composizione geometrica a cerchi denticolati, il cui incrocio genera fiori quadripetali, mentre nella fascia d’ingresso all’alcova, tra i due pilastri poligonali, vi sono fanciulli e fanciulle che giocano con delle palle poste a terra dentro un cerchietto scompartito o disposti in fila. Le figure presentano l’ombra ai piedi. Le pareti di questo cubicolo, sono adorne di affreschi raffiguranti rombi generati da triangoli a fascia rossa, posti ai quattro lati, entro cui risaltano, su fondo celestino, graziose figure a grandezza naturale di menadi e satiri danzanti, che ben si addicono alla sua destinazione quale luogo di incontri amorosi tra il proprietario e le sue concubine. Menadi e satiri facevano parte del corteo chiamato thiasos al seguito del dio del vino, dell’ebrezza e dell’amore, Bacco o Dioniso. Le menadi, spesso erano rappresentate col tirso in mano, ubriache e folleggianti in danze sfrenate e coi satiri si abbandonavano a vere orge senza alcun ritegno.

Cubicolo della frutta
Ambiente quadrangolare, con alcova ad esedra e pavimento a mosaico, destinato forse a camere da letto per la proprietaria della villa (o a studiolo del proprietario). Il motivo che informa il mosaico pavimentale è la sovrapposizione e intreccio di tre quadrati, che generano all’esterno stelle a dodici punte, all’interno dodecagoni con festoni d’alloro racchiudenti cesti di frutta: melegrane, pere, mele, meloni, pesche, cedri, fichi, angurie ed uva. Le stelle sono collegate tra loro da losanghe generanti ottagoni campiti da rosette. Una cornice a meandro spezzato circonda la composizione musiva. L’alcova ad esedra, con accesso abbellito da pilastri poligonali dipinti e con fasce di passaggio tra il vano quadrangolare e l’esedra presentante amorini folleggiatiti, è adorna di uno splendido mosaico pavimentale: una cornice composita a “Guilloche” racchiude la superficie pavimentale, in cui si stende un prezioso tappeto musivo con fiori. Copiosa e fine doveva essere la decorazione pittorica parietale di soggetto mitologico: alla parete di sud si intravede un amorino o forse un giovinetto nudo con una situla in mano sovrastatovda finestre con inferriate rosse. Uno strato duro di calcare ricopre gli affreschi delle altre pareti.

Affreschi
Essi ci sono pervenuti con molte lacune, aggravate dall’azione degli eventi atmosferici e dalla totale mancanza di restauri.
In alcuni ambienti la pareti sono affrescate con soggetti mitologici a grandezza quasi naturale; in altri con figure quasi umane, come nel cubicolo dei fanciulli cacciatori. Contrariamente all’esterno, la palestra e la latrina sono dipinti a finto rivestimento marmoreo.
Una particolare importanza al fine dell’imperialità della villa è accentuata da affreschi del portico sud del peristilio; essi raffigurano soldati muniti di grandi scudi, simili stilisticamente a quelli che si trovano affrescati nella sala del culto imperiale del tempio di Ammon a Luxor, che rendono omaggio a un imperatore tetrarchico (attribuiti ad una scuola imperiale operante intorno al III secolo d.C.).