ANFITEATRO ROMANO:
Luogo: Siracusa, Colle Temenite
Epoca: tra il I ed il II secolo d.C.
Corrente artistica di riferimento: arte romana tardo-antica
Pianta: L’anfiteatro ha una pianta ellittica, scavata nella roccia, con due ingressi opposti (uno situato a nord ed uno a sud) e gradinate concentriche divise da due deambulatori; al centro vi sono l’arena ed un sotterraneo, dove erano posti i macchinari per gli spettacoli.
Alzato:La cavea era divisa dall’arena da un podio (probabilmente rivestito di marmo) su cui poggiava la prima fila di gradini, destinata agli ospiti di riguardo, i cui nomi erano inscritti nella balaustra del parapetto; la scalinata, alla quale si accedeva tramite un complesso sistema di gradinate interne, procedeva quindi interrotta solamente da corridoi, di cui l’ultimo fungeva da coronamento dell’anfiteatro, di questo sono state rinvenute alcune colonne. Il perimetro esterno doveva essere formato da pilastri ed archi, in modo simile al Colosseo, con solo delle semicolonne come decorazione.
Decorazioni: Se si esclude il rivestimento di pietra atto a nascondere la qualità scadente della pietra con cui era stato costruito, l’anfiteatro doveva abbastanza spoglio, senza decorazioni particolari, eccetto semicolonne ai lati degli archi ed il porticato che coronava l’anfiteatro.
Inserimento urbanistico e territoriale: L’anfiteatro si trova sul colle Temenite a Siracusa, tuttavia è orientato in modo obliquo rispetto alla Neapolis, che si trova sullo stesso colle, mentre si allinea con l’impianto di Acradina. L’edificio è stato scavato direttamente nel colle, escluso il lato sud, e vi si poteva accedere tramite due ingressi posti a nord ed a sud, Quest’ultimo dava su di un piazzale verso cui convergeva l’asse viario che divideva la Neapolis dall’Acradina.
Edifici e strutture adiacenti: Appena oltre l’ingresso nord era situata una fontana, che riceveva acqua da una cisterna oggi conservata sotto la chiesa di San Nicolò; inoltre in tempi recenti dei sarcofagi provenienti dalle necropoli di Siracusa e Megara Iblea sono stati posizionati in uno spazio non distante dall’anfiteatro. L’anfiteatro è inoltre inserito nel parco archeologico della Neapolis, pertanto vicino al Teatro greco ed alla Latomia del Paradiso.
Storia: L’anfiteatro venne probabilmente iniziato sotto il regno di Nerone, ma assunse la forma odierna solo nel III-IV secolo d.C. Nel XVI secolo d.C. venne quindi spogliato dei materiali, utilizzati per fortificare Ortigia, mentre verrà riportato alla luce nel 1839 dal duca di Serradifalco.
Restauri e modifiche:
I-II secolo d.C.: Inizia la costruzione dell’anfiteatro
III secolo d.C.: Viene ricostruito nella forma di cui oggi vediamo i resti.
XVI secolo d.C.: Viene spogliato della quasi totalità della pietra, utilizzata per le fortificazioni.
1839: Scavi archeologici da parte del duca di Serradifalco.
SIRACUSA: TEATRO GRECO
Architetto: Damocopos detto Myrilla
Luogo: Siracusa, Colle Temenite
Epoca: V secolo a.C.
Corrente artistica di riferimento: Arte greca classica
Pianta: La pianta era in origine formata da una cavea, divisa in nove settori, a forma di ferro di cavallo, un’orchestra di forma semicircolare e da un edificio scenico di pianta rettangolare; una scala portava inoltre da una stanzetta sotterranea direttamente sul palcoscenico, permettendo agli attori di compiere apparizioni ad effetto. In epoca romana la pianta della cavea divenne semicircolare ed all’edifico scenico furono aggiunti due corridoi per accedervi dai lati, inoltre il canale che divideva l’orchestra dalla cavea venne sostituito da uno più a ridosso dei gradini.
Alzato: La cavea (di cui oggi restano solamente 46 gradini) era divisa in nove settori, detti cunei, a cui erano abbinati i nomi dei membri della famiglia reale e di alcune divinità, era inoltre divisa ulteriormente in due da un corridoio (diazoma). Tutto il teatro era costruito tenendo conto sia dell’acustica sia del panorama, che offre la visione dell’isola di Ortigia, nonostante un tempo fosse seminascosta dalla scena.
Decorazioni: Non si conosce molto della decorazione di questo teatro, tuttavia è stata ritrovata una cariatide (oggi conservata al Museo Archeologico Regionale Paolo Orsi), che probabilmente faceva parte dell’edificio scenico.
Inserimento urbanistico e territoriale: Il teatro è situato nel parco archeologico della Neapolis, sul lato sud del colle Temenite a Siracusa.
Edifici e strutture adiacenti: Appena sopra la cavea si trova una terrazza, che in origine ospitava un portico ad L, questa era accessibile tramite una strada incassata nota come “via dei sepolcri” oppure tramite una gradinata centrale; la parete rocciosa di fondo presenta inoltre una grotta-ninfeo, da cui il teatro attingeva l’acqua.
Storia: Il teatro venne costruito nel V secolo a.C., tuttavia nel III secolo a.C. venne ricostruito nella forma che vediamo oggi. In epoca romana subì altre modifiche per adattarlo alle esigenze dell’epoca, ad esempio l’orchestra venne modificata in modo da poter ospitare giochi acquatici. Il teatro venne progressivamente abbandonato, al punto tale che nel 1526 venne smantellato in larga parte, in modo da utilizzarne la pietra per fortificare Ortigia, mentre l’acquedotto venne riattivato per poter installare dei mulini. Dalla fine del 1700 riprese l’interesse per il teatro e scavi archeologici proseguirono fino al 1988, mentre dal 1914 ripresero le rappresentazioni delle antiche opere greche.
Restauri e modifiche:
III secolo a.C.: il teatro fu ricostruito quasi totalmente
prima età augustea: modifiche alla pianta, alla scena ed all’euripo
età tardo-imperiale: modifica all’orchestra per permettere giochi acquatici
1526: spoliazione del teatro per fortificare Ortigia
seconda metà del 1500: riattivazione dell’acquedotto ed inserimento di alcuni mulini nelle vicinanze
da fine 1700 fino al 1988: vari scavi archeologici
1914: riprendono le rappresentazioni
SIRACUSA: ORECCHIO DI DIONIGI O DI DIONISO
L’Orecchio di Dionigi (o Orecchio di Dionisio) è una grotta artificiale che si trova nell’antica cava di pietra detta latomia del Paradiso, poco lontano dal Teatro Greco di Siracusa.
Scavata nel calcare, la grotta è alta circa 23 m e larga dai 5 agli 11 m e si sviluppa in profondità per 65 m, con un andamento ad S.
Secondo la leggenda, la sua particolare forma ad orecchio d’asino fece coniare al pittore Caravaggio, recatosi nella città Aretusea nel 1608 in compagnia dello storico siracusano Vincenzo
Mirabella, l’espressione Orecchio di Dionisio. Secondo la tradizione infatti il tiranno Dionisio fece scavare la grotta dove rinchiudeva i prigionieri e, appostandosi all’interno di una cavità superiore,
ascoltava i loro discorsi. Grazie alla sua forma, l’Orecchio di Dionisio possiede caratteristiche acustiche tali da amplificare i suoni fino a 16 volte. Secondo alcuni la presenza della cavità sotto la cavea del Teatro Greco favorisce l’acustica dello stesso teatro.
Recentemente è stato proposto dai Platonici di rinominare l’Orecchio di Dionisio “Caverna di Platone”, considerando il fatto che il filosofo ateniese fu uno dei prigionieri del tiranno siracusano e che, nei libri centrali della “Repubblica”, il mito della caverna è evocato con immagini che richiamano da vicino la cava di Siracusa.
Caravaggio ambientò in questa latomia il celebre quadro Il seppellimento di Santa Lucia.
VIA MAESTRANZA
Antico asse della città medievale, divenuto già dal sec. XVI strada rappresentativa della nobiltà locale, mostra un susseguirsi pressoché ininterrotto di antichi palazzi, trasformati in epoca barocca e
abbelliti da cornicioni, mascheroni, balconate in ferro battuto rette da mensole scolpite.
dentificazione dell’opera
Denominazione: Palazzo Impellizzeri
Luogo: Isola di Ortigia (Siracusa)
Epoca: 1894
Correnti artistiche di riferimento: Barocco, Rococò
Descrizione dell’esterno
L’edificio fonde lo stile barocco al neoclassico; al primo livello presenta un grande portale sormontato dallo stemma nobiliare della famiglia e diversi pilastri inquadrano sia il portale che le finestre, nel piano superiore fa bella mostra di sè un balcone lungo quanto tutto il prospetto racchiuso da una inferriata in ferro battuto. Tutte le finestre e i balconi (tranne quello centrale che è sormontato da timpano semicircolare) sono sormontati da travetti rettangolari. All’ingresso del palazzo ci sono due lapidi commemorative riguardanti la famiglia Impellizzeri.
La presenza anche dello stile rococò è confermata dal fregio sopra il balcone principale.
Il prospetto presenta una trabeazione decorata con motivi floreali e sul cornicione volti umani.
Sulla facciata si susseguono finestre e balconi dalle linee sinuose.
Descrizione dell’interno
Le stanze sono decorate con stucchi del 700 e vi si trovano tele settecentesche, mobili antichi e superbi lampadari in ferro battuto. Tra le stanze ve n’è una chiamata Sala d’Armi, che si differenzia dalle altre per il grandissimo e bellissimo affresco raffigurante lo stemma della nobile famiglia Impellizzeri.
Sulla pavimentazione policroma interna si trovano gli stemmi dei casati e la lettera “G” che indica l’appartenenza ai Loggia.
Oggi il pianoterra ospita gli uffici dell’Archivio di Stato della Provincia di Siracusa.
Inserimento urbanistico e territoriale
Ortigia, via della Maestranza, civico 99.
Attuale sede della Facoltà di Architettura.
Notizie storiche
E’ stato edificato nel contesto creatosi in seguito agli sforzi post-sisma, che hanno dato vita ad un concetto di urbanistica svincolato dai canoni del momento, in cui i diversi palazzi barocchi risentirono dell’influenza del Rococò.
Identificazione dell’opera
Denominazione: Palazzo Zappata-Gargallo
Luogo: via Maestranza, isola di Ortigia (Siracusa)
Epoca: XV-XVIII secolo
Corrente artistica di riferimento: Barocco
Descrizione
La facciata principale presenta un elegante portale architravato a bugne lisce.
Spiccano inoltre gli eleganti balconi e il grande stemma di famiglia sul cantonale. Oltre alla muratura quattrocentesca, l’edificio originario mantiene per lo più la propria altezza.
Gli elementi settecenteschi aggiunti ne hanno determinato l’immagine barocca.
L’accesso al palazzo è garantito da un portale arcuato posto al centro della parte inferiore della facciata (con parete a gradoni), ai cui lati vi sono sei aperture arcuate (tre per lato) comunicanti con locali staccati dal palazzo adibiti ad esercizi turistico – commerciali (locali di ritrovo o negozi). L’interno del Palazzo Gargallo è adibito ad uso abitativo – commerciale.
Sulle facciate sul cortile spiccano elementi architettonici dell’epoca, in particolare la caratteristica scala esterna in stile catalano, con cornice a risega.
Notizie storiche
Dal XVII secolo il palazzo è stato di proprietà della famiglia Gargallo, che ne ha presumibilmente promosso la ristrutturazione.
Affreschi
Ad opera di Ernesto Bellandi, che pochi anni prima aveva affrescato la volta del teatro Massimo di Catania.
Identificazione dell’opera
Denominazione: Palazzo Bufardeci
Luogo: via Maestranza, isola di Ortigia, Siracusa
Epoca: 1693
Corrente artistica di riferimento: Barocco
Descrizione
Dimora di origine nobiliare tra le più eleganti, impone la sua opulenza con l’ornato della ricchissima facciata a partitura simmetrica e la sequenza dei balconi sorretti da belle mensole figurate.
L’edificio, la cui facciata mostra una trama compositiva riferibile all’età del barocco ante 1693, non ha rivelato preesistenze più antiche certe. Ne parlano i Riveli del 1811-1835.
Varcato l’ingresso, in cui una soglia porta incisa la data del 1840, si stende un magnifico portico con quinte murarie ad altissimo impianto, di grande effetto scenografico.
Identificazione dell’opera
Denominazione: Tempio di Apollo
Luogo: isola di Ortigia (Siracusa)
Epoca: VI secolo a.C.
Corrente artistica di riferimento: arte greca arcaica (stile dorico)
Descrizione della pianta
Il tempio misura allo stilobate 55,36 x 21.47 metri, con una disposizione di 6 x 17 colonne di proporzione piuttosto tozza. Rappresenta, nell’occidente greco, il momento di passaggio tra il tempio a struttura lignea e quello completamente lapideo, con fronte esastilo ed un colonnato continuo lungo il perimetro che circonda il pronao e la cella divisa in tre navate con due colonnati interni, più snelli, posti a sostegno di una copertura a struttura lignea di difficile ricostruzione. Sul retro della cella si trovava un vano chiuso (adyton) tipico dei templi sicelioti.
Descrizione
I resti permetto di ricostruire l’aspetto originario del tempio, che appartiene al periodo protodorico e presenta incertezze costruttive e stilistiche, come l’eccessiva vicinanza delle colonne poste sui lati, le variazioni dell’intercolumnio, l’indifferenza alla corrispondenza tra triglifi e colonne ed aspetti arcaici come la forma planimetrica molto allungata. L’architrave risulta insolitamente alto, anche se alleggerito posteriormente formando una sezione a L.
Non mancano aspetti assolutamente sperimentali, come l’importanza dedicata al fronte orientale con doppio colonnato ed intercolumnio centrale più ampio e più in generale la ricerca più di un’enfasi rappresentativa che di un’armonia proporzionale.
La pioneristica costruzione fu un modello per l’affermarsi del tempio dorico periptero in Sicilia, rappresentando una sorta di prototipo locale, che affiancava aspetti legati a modelli della madrepatria con altri peculiari che si affermeranno solo in Magna Grecia, come la presenza dell’adyton, probabile sede dell’immagine sacra e centro compositivo dell’intera costruzione.
Inserimento urbanistico e territoriale
Antistante alla piazza Pancali nell’isola di Ortigia.
Notizie storiche
Tempio dorico più antico della Sicilia.
Subì diverse trasformazioni: fu chiesa bizantina, di cui si conservano la scalinata frontale e tracce di una porta mediana, e poi divenne moschea islamica. Successivamente si sovrappose agli edifici precedenti la chiesa normanna del Salvatore, che venne poi inglobata in una cinquecentesca caserma spagnola e in edifici privati, rimanendo comunque visibili alcuni elementi architettonici. Tali successive sovrapposizioni danneggiarono gravemente l’edificio, che fu riscoperto intorno al 1860 all’interno della caserma e venne riportato interamente alla luce grazie agli scavi effettuati da Paolo Orsi negli anni tra il 1938 e il 1942.
L’impresa di costruire un edificio con 42 colonne monolitiche, trasportate probabilmente via mare, dovette sembrare eccezionale agli stessi costruttori, vista l’insolita presenza sull’ultimo gradino del lato est di un’iscrizione dedicata ad Apollo, in cui il committente (o l’architetto) celebra l’impresa edificatoria, con un’enfasi che tradisce il carattere pioneristico della costruzione.
CASTELLO DI MANIACE
-Architetto: Il castello venne realizzato dall’architetto Riccardo da Lentini su incarico di Federico II
-Denominazione: Castello di Maniace
-Luogo (città): Siracusa- Isola di Ortigia
-Epoca: 1232-1240
-Corrente artistica di riferimento: Barocco
– Descrizione della pianta: Il Castello Svevo si presenta come una solida struttura di 51 metri per lato a pianta quadrata, una figura geometrica che permette il controllo visivo totale dell’interno e dell’esterno, con le sue quattro torri cilindriche agli angoli. Tutte le costruzioni di Federico II sono ispirate a forme geometriche, come ad esempio rettangolo, il quadrato e l’ottagono con chiaro riferimento agli insegnamenti di Vitruvio. Unico ambiente, la sala è determinata da 16 colonne libere che sorreggono 25 volte a crociera, da 4 semi colonne angolari e da 4 semi colonne a parete per ogni lato.
-Descrizione dell’esterno : Al centro troviamo il portale d’ingresso ad arco ogivale rivestito da marmi policromi e sormontato dallo stemma imperiale di Carlo V raffigurante un’aquila bicefala (a due teste), lastroni laterali in marmo, chiave di volta incompleta, lunetta e architrave mancante perché fu tranciata nella parte centrale. Il portale ha un’altezza di m 8,08, lo strombo misura in profondità m 1,45. Esso presenta ai due lati fasce di colonnine impostate su piccole basi multiple, le quali sorreggono piccoli capitelli a calice con le foglie uncinate. Al di sopra dei capitelli, sulle mensole che ne seguono l’andamento movimentato, spiccano quattro figure zoomorfe (due per lato), oggi imperfette, probabilmente leoni alati o ippogrifi. La collocazione nelle nicchie di queste due splendide opere d’arte ellenistiche rivela il profondo interesse che Federico II nutriva anche per la cultura classica, ma l’accostamento sia materiale che visivo con i leoni alati o ippogrifi, simboli per eccellenza di forza, ci induce a riflettere sulla complessa figura intellettuale dell’Imperatore ( ippogrifi e arieti: forza e leggiadria). Nei suoi vari elementi spicca la cornice finemente decorata con una successione di foglie. La forza dell’arco ogivale viene sottolineata dalla serie di tratti a zigzag nel frontone superiore. Il portale era forse munito della saracinesca e della porta. Troviamo poi due nicchie laterali sorrette da pedicelli, che ospitavano i due famosi arieti bronzei (uno di essi è oggi conservato al museo archeologico di Palermo, l’altro è andato perduto o distrutto nel 1848). Nei pressi della torre ovest si trova il Bagno della Regina. Vi si accede da una porta aperta nel paramento murario, scendendo poi da una scala intagliata nella viva roccia. Si narrava che fosse spazioso ed adorno di marmi, con sedili e vasche, nella realtà si tratta solo di un piccolo ambiente, ed è una fonte di approvvigionamento idrico del castello.
-Descrizione dell’interno: Il centro geometrico della sala ipostila era particolarmente enfatizzato da quattro gruppi di colonne realizzate, anziché in calcare, in marmo e granito. La diversità del materiale usato, oltre a creare un gradevole gioco cromatico aveva funzione di scaricare la somma delle spinte di tutte le crociere. Le colonne sono realizzate in pietra calcarea, hanno forma cilindrica, poggiano su basi poligonali e culminano con capitelli polistili ricoperti da uno strato di latte di calce. I capitelli presentano 2, 3 o 4 ordini di foglie ascendenti (di acanto, di palma, di vite) che si chiudono a crochet. Nel punto dove le foglie formano l’uncino troviamo scene agresti, figure umane, serpenti attorcigliati e frutti. Lungo i lati nord-ovest e sud-est della sala erano stati realizzati quattro grandi camini, due per lato, ma le cappe sono andate perdute. Riguardo la copertura della sala, al di sopra dei capitelli, dagli abachi si dipartono i costoloni a sezione quadrata con angoli smussati. Essi hanno struttura portante soltanto nei primi conci che si intersecano con la muratura delle volte. Le volte sono formate da conci in calcare bianco-giallastra e in pietra lavica. La tecnica impiegata vede la messa in opera dei conci a “spina-pesce” o a “zig-zag” saldati con la malta. Intorno al 1980 vennero scoperte le basi dei piedritti della campata centrale, invece di colonne cilindriche, come negli altri casi, si trattava di un tipo particolarmente elaborato e ricco di pilastri a fascio, ognuno composto da tre colonne marmoree. La grande sala del castello traeva luce da 15 finestre e dall’atrio centrale. Lungo la parete sud- ovest si nota un profondo dirottamento, relativo ad una finestra monumentale, unica nel castello, che guarda sul Porto Grande. Si ritiene che la sala ipostila così vasta e così come è strutturata, con le sue colonne libere e le sue volte, non potesse validamente sostenere l’enorme peso che un secondo livello a sviluppo integrale avrebbe comportato.
– Inserimento urbanistico e territoriale: Il Castello di Siracusa sorge sull’estrema punta orientale dell’Isola di Ortigia.
– Eventuali adiacenze (torri, campanili, giardini, edifici monastici, ecc. che formano con l’edificio considerato un unico complesso monumentale): In corrispondenza della torre sud e della torre est si osserva la presenza di 2 piccoli ambienti rettangolari con copertura a crociera: sono i vestiboli che introducono a due ambienti rettangolari, interpretati come servizi igienici, e alle scale elicoidali. Della torre nord non rimane alcun elemento originale. In quella ovest troviamo il vestibolo di accesso ad una delle scale che attualmente conducono al terrazzo. Si può accedere al terrazzo utilizzando anche la scala elicoidale all’interno della torre est. Nei pressi della torre ovest si trova il Bagno della Regina. Vi si accede da una porta aperta nel paramento murario, scendendo poi da una scala intagliata nella viva roccia. Si narrava che fosse spazioso ed adorno di marmi, con sedili e vasche, nella realtà si tratta solo di un piccolo ambiente ed è una fonte di approvvigionamento idrico del castello.
-Notizie storiche: Nel 1288 alloggiò con la famiglia il re Pietro III d’Aragona. Il maniero è anche chiamato Castello di Maniace, da Giorgio Maniace, un generale bizantino che nel 1038 riconquista per breve tempo la città degli arabi e porta in dono due arieti bronzei ellenistici, che poi vengono posti all’entrata del Castello stesso. Per quasi tutto il XV secolo il Castello fu una prigione. Alla fine del XVI secolo il Castello di Maniace diventa un punto fondamentale della cinta muraria di Ortigia. Il 5 novembre 1704 un’esplosione avvenuta nella polveriera sconvolge l’edificio, blocchi di calcare vengono lanciati nel raggio di diversi chilometri. Negli anni successivi si appresta la ricostruzione, che lascia intatte le parti rovinate dall’esplosione, mentre si creano tamponature per la realizzazione di magazzini. In età napoleonica il Castello rivive con funzioni militari e viene munito di bocche da cannone. Dopo l’unificazione d’Italia esso rimane una struttura militare. Ad oggi, dopo un lungo restauro, il monumento è tornato al pubblico utilizzo. Negli ultimi anni infatti, oltre all’apertura al pubblico, è stato sede di spettacoli dell’Ortigia Festival. Nonostante le massicce manomissioni effettuate nel XVI secolo, la monumentale fortezza conserva la struttura esterna duecentesca. Si volle che il Castello di Maniace fosse il segno della presenza dell’imperatore e dell’immanenza del suo potere. Tutto il castello è cinto da fortificazioni e per accedervi bisogna attraversare un ponte di pietra, fatto costruire da Carlo V nel XVI secolo, insieme alla cinta difensiva dell’isola, quando Siracusa venne trasformata in una roccaforte. La fortificazione era raggiungibile solo attraverso un ponte levatoio, colmato nel Cinquecento, che lo isolava dalla terraferma rendendolo praticamente inespugnabile. Riprendeva modelli di cultura araba e faceva parte di un sistema di castelli e torri distribuiti lungo le coste a difesa dell’isola.
-Restauri: Alla fine dell’800 furono eseguiti i primi interventi sul manufatto consistenti nella pulitura di alcune parti murarie e nella demolizione di strutture pericolanti. Agli inizi del 1900 vennero realizzati i primi interventi sul portale. Ma la prima indagine strettamente archeologica del Castello fu eseguita da Paolo Orsi nel 1926, il quale mirava all’individuazione delle strutture greche e romane citate dalle fonti, nonché di quelle bizantine, arabe e normanne.
FONTE ARETUSA
Millenaria sorgente di acqua dolce, essa sgorga da una grotta a pochi metri dal mare. Questa mitica fonte fu cantata da molti poeti, come Virgilio, Pindaro, Ovidio, D’Annunzio e molti altri, affascinati dalla leggenda di Aretusa e dal luogo incantevole. Persino l’Ammiraglio Nelson subì il fascino di questa celebre fonte, infatti, dopo aver rifornito di acqua la sua flotta navale, vinse la battaglia di Abukir contro la flotta navale francese nelle acque del Mediterraneo al largo della costa egiziana.
L’esistenza della fonte è legata ad una leggenda: la ninfa Aretusa, ancella della dea della caccia Artemide, fu vista dal dio fluviale Alfeo (figlio di Oceano) che se ne innamorò e tentò di sedurla contro la sua volontà. Per salvarsi Aretusa fuggì in Sicilia, dove Artemide la tramutò in una fonte nei pressi del porto di Siracusa, ad Ortigia (sacra ad Artemide). Zeus, commosso, mutò Alfeo in un fiume della Grecia, vicino ad Olimpia, permettendogli così di raggiungere Aretusa scorrendo sottoterra. Il mito d’Aretusa ha identificato storicamente i cittadini di Siracusa che vengono chiamati “i siracusani”, ma che in nome della ninfa, sono anche chiamati “aretusei”.
In realtà la Fonte Aretusa è un piccolo specchio d’acqua dolce alimentato da una piccola sorgente sotterranea, che a sua volta è collegata ad un’altra sorgente situata presso l’inizio del Lungomare Alfeo, nota come “Occhio della Zillica”, che secondo i coloni greci che fondarono la città era lo sbocco del sopracitato Fiume Alfeo, che immetteva le sue acque nella Fonte Aretusa. La Fonte Aretusa è stata sempre murata, per cui l’acqua rimase dolce, ma oggigiorno sotto il Passeggio Aretusa vi è un piccolo cunicolo che la collega al mare, per cui l’acqua della fonte è divenuta salmastra, creando così un interessante ecosistema acquatico all’interno della parte vecchia della città, con il conseguente popolamento di varie specie animali, tra cui molti volatili acquatici come anatre, gallinelle d’acqua e cigni, infatti la fonte viene anche chiamata “La Fontana delle Papere”, ma anche pesci d’acqua salmastra. Per quanto riguarda le specie viventi vegetali è opportuno notare la consistente presenza del papiro, pianta piuttosto importante per l’economia siracusana, perchè il suo gambo serve per fare una carta piuttosto pregiata utilizzata per manufatti venduti come souvenir turistici, ma che in epoca greca veniva utilizzata per scrivere. Dopo un violento terremoto avvenuto nel 1169, l’acqua che alimentava la fonte cessò e scomparve per un lungo periodo, poi ricomparve, ma con meno portata e non più dolce, ma salmastra. Anche a seguito del terribile terremoto del 1693, l’acqua diventò rossastra e scarsa. Recentemente vi fu un abbassamento ulteriore della portata dell’acqua, che gli esperti hanno attribuito ad un periodo di siccità, tant’è che dopo abbondanti stagioni di pioggia la portata è aumentata. Le acque della Fonte Aretusa sorgono direttamente nell’isola d’Ortigia senza nessun tipo di canalizzazione con la terra ferma. Gli storici ci hanno tramandano notizie dove segnalano che un tempo le acque della fonte erano dolcissime e non erano minimamente mischiate con quelle salate. Pertanto si poteva supporre che effettivamente il flusso d’acqua proveniva veramente da sotto il livello del mare. Le acque dell’Aretusa, come quelle del Ciane e dell’Anapo, hanno origine dalla gran massa pluviale assorbita dai Monti Iblei. Attraversando terreni calcarei, spesso fragili e permeabili, le acque s’incanalano sotto terra e ricompaiono in superfice appena incontrano un terreno roccioso poco permeabile. Su una parete della fonte una lapide ricorda i versi di Virgilio, un gruppo bronzeo dello scultore Poidomani, raffigurante Alfeo ed Aretusa, è collocato in uno spazio antistante la vasca. Una nota splendida è l’albero piantato nel 1700, un ficus detto proprio “ficus aretuseò” per ricordare ancora la ninfa bella e inaccessibile, che Cimone ed Eveneto raffigurarono nelle loro monete.
PALAZZO VERMEXIO
-Architetto: edificato dall’architetto Giovanni Vermexio
-Denominazione: Municipio – Palazzo Vermexio detto anche Palazzo del Senato
-Luogo (città): Siracusa – Isola di Ortigia
-Epoca: 1629-1633
-Corrente artistica di riferimento: Barocco
-Descrizione della pianta: pianta quadrata. Questo palazzo può ritenersi l’espressione più alta del geometrismo che anima tutte le realizzazioni di Giovanni Vermexio. Esso era, in origine, un cubo perfetto.
Descrizione dell’esterno: La facciata si presenta di forma quadrata solcata da sei paraste che nell’ordine inferiore si presentano a bugnato e sorreggono una ricca trabeazione, mentre nell’ordine superiore si presentano lisce. Il portale d’ingresso è incassato dentro la parete centrale della facciata, ai lati della quale vi si trovano due finestre sormontate da timpani semicircolari. Presso il portale d’ingresso, sovrastato da un mascherone grottesco, sono presenti due lampioni in ferro battuto e un piedistallo, in cui è posta la targa con cui si commemora l’iscrizione di Siracusa e Pantalica nei “Luoghi Patrimonio dell’Umanità” da parte dell’Unesco. In esso Vermexio, volendosi quasi “firmare”, scolpì nell’angolo sinistro un minuscolo geco o lucertola, appellativo conferito all’architetto a causa della sua rara magrezza ed altezza. Il primo piano è impostato su schemi classici, le grandi finestre timpanate, le paraste bugnate in stile dorico, la solenne trabeazione decorata con triglifi e metope. Le paraste ioniche scandiscono il prospetto del secondo livello con finestre alternate a nicchie destinate a contenere le statue dei reali di Spagna mai completate da Gregorio Tedeschi, a cui era stata affidata la decorazione scultorea del palazzo, egli infatti riuscì a portare a termine solo la grande aquila a due teste coronate, simbolo dell’impero spagnolo, che è sovrastata dal balcone centrale. L’ordine superiore, in stile barocco, è caratterizzato da una balconata racchiusa da una ringhiera in ferro battuto, sopra cui si affacciano tre finestroni, di cui quello centrale sormontato da un timpano spezzato, che reca al centro lo stemma dei Borboni, un’aquila con due teste, sotto la quale è posta la targa in cui si onoravano i Borboni di Spagna. Le due finestre laterali sono sormontate da timpani spezzati più piccoli, sopra cui è posto lo stemma araldico della città di Siracusa. Nella parete laterale le due finestre sono sormontate da timpani semicircolari. Tra le finestre vi sono delle nicchie inarcate, che in origine dovevano contenere i busti dei re borbonici vissuti fino ad allora e dovevano essere scolpite sempre da Gregorio Tedeschi, ma l’improvvisa morte dell’artista rese lo impossibile. La trabeazione si presenta arricchita da decorazioni geometriche scolpite con la tecnica del bassorilievo, chiudendo quindi la costruzione con un’abbondantissima decorazione con festoni che corrono tra i capitelli ed un cornicione fortemente aggettante. Le paraste, nonostante creino forti giochi plastici, danno per il loro verticalismo quel senso di leggerezza non avvisato nel primo ordine.
-Descrizione dell’interno: All’interno dell’atrio è presente la “Carrozza del Senato” , uno splendido carro settecentesco utilizzato dalle maggiori autorità della città aretusea per muoversi all’interno di essa, realizzata su modello delle berline austriache. Questa carrozza viene fatta sfilare ogni anno in occasione dei festeggiamenti in onore di Santa Lucia. L’interno del Palazzo presenta moderne stanze restaurate, ma anche locali rimasti tali e quali come la Sala del Sindaco, il cortile interno e l’atrio d’ingresso, che presenta una volta a botte e due eleganti portali laterali. Qui possiamo ammirare la targa in pietra iblea, su cui è riportata per intero la dichiarazione dell’Unesco con cui Siracusa e la Necropoli di Pantalica sono state dichiarate ufficialmente “Patrimonio dell’Umanità”.
– Inserimento urbanistico e territoriale: Occupa l’angolo nord-est di piazza Duomo, in un’area di grande importanza fin dall’età greca, infatti parti delle fondazioni ricadono sui resti di un tempio ionico della fine del VI secolo a.c.
-Eventuali adiacenze (torri, campanili, giardini, edifici monastici, ecc. che formano con l’edificio considerato un unico complesso monumentale): I sotterranei del palazzo hanno restituito i resti di un primitivo tempio in stile ionico. Sono superstiti i frammenti di un enorme capitello e la parte inferiore di una colonna, che ha la caratteristica di essere rivestita fino a una certa altezza da una fascia non scanalata, nella quale dovevano trovare posto dei bassorilievi, come alcuni grandi templi dell’Asia Minore. Secondo alcune ricerche il tempio in realtà non fu mai portato a termine.
– Notizie storiche: Detto anche Palazzo del Senato, fu edificato tra il 1629 e il 1633 dall’architetto Giovanni Vermexio, che ricevette dal governo della città l’incarico di sostituire l’antica sede della Camera Reginale di Siracusa. L’edificio quindi divenne il palazzo del Governo della città. Oggi ospita gli uffici del Sindaco e del municipio. Originariamente esso era un cubo perfetto, diviso a metà altezza da un lungo balcone che separa i due ordini, l’inferiore rinascimentale e il superiore barocco. L’artista in questa sua opera riuscì a fondere la nobiltà delle passate civiltà con lo sfarzo spagnolo mediante i timpani dei balconi, le cornici spezzate e sporgenti, nicchie, capitelli ornati di conchiglie e maschere. Il Tempio Ionico, la cui dedica rimane tuttora ignota, fu probabilmente un Athenaion, è uno dei rari esempi di questo ordine conservato in Occidente e risale alla seconda metà del VI secolo a.C.
Questo è da mettere in relazione con la cacciata dei Gamoroi da Siracusa intorno al 500 a.C., nonché per la sconfitta inflitta a Siracusa da Ippocrate di Gela. Gelone, giunto così al potere, abbandonò il progetto del tempio ionico, preferendo avviare i lavori per la costruzione dell’Athenaion dorico.
Il Palazzo fu anche adibito a teatro nel 1740, ma venne rimosso nel 1880.
-Restauri: Intorno agli anni 60 fu accorpato un nuovo fabbricato per ampliare gli uffici del municipio, così facendo è stato stravolto l’originario progetto, demolendo l’antica chiesetta di S. Sebastiano e la sede della Biblioteca dell’Arcivescovado, fondata nel 1780 dal Vescovo Alagona.